“Il Signore è in mezzo a noi, sì o no”

Dall’ansia di fare per Dio, allo stupore per quello che fa Dio

Sabato 4 giugno, una vigilia di Pentecoste piena di sole. C’è aria di vacanza: la voglia di evasione è tanta. Gli operatori pastorali (gli adulti impegnati nelle parrocchie e nei gruppi, con una significativa componente giovanile) rispondono all’invito di ritrovarsi per l’assemblea diocesana di fine anno. In cartella è stata messa una griglia di domande per facilitare lo scambio di pensieri e di esperienze. In verità, fin dall’inizio viene sottolineato come la convocazione non abbia lo scopo di “mettersi allo specchio”, col rischio di affliggersi per il negativo o di autocompiacersi per i risultati ottenuti. Piuttosto si è invitati a passare dall’ansia per quello che si immagina di dover fare per Dio, alla sorpresa per quello che fa Dio! La chiamata a convenire ancora una volta propone di rafforzare i legami ecclesiali e di vivere un’esperienza concreta di comunione. Ogni partecipante (rappresentate oltre la metà delle parrocchie e dei movimenti) deve fare tutta la sua parte. Gli viene chiesto di mettersi in gioco; nessuno è spettatore: «Perché la comunione dipende da te!». Vivere è la parola d’ordine, cioè “stare dentro”, intrecciare relazioni, allargare conoscenze, aderire a proposte: dall’accoglienza reciproca alla partecipazione al canto-preghiera, dall’ascolto in sala al coinvolgimento nei tavoli di lavoro, dal momento di convivialità alla grande epiclesi vigilare sulla Chiesa locale (invocazione allo Spirito Santo). Una domanda aleggia su tutti, più o meno consapevolmente; in fondo è la stessa del popolo di Israele sulla via dell’esodo; è l’interrogativo di chi si chiede che razza di cammino è questo dove bisogna aspettare gli ultimi, portarsi dietro bambini e anziani. E poi vale la pena avventurarsi pericolosamente verso un futuro incerto e sconosciuto, solo con la suggestione di una promessa? La domanda si fa più acuta quando viene a scarseggiare l’acqua, quando il deserto non ti risparmia le sue insidie, quando anche il condottiero avanza a tentoni. La domanda è perentoria e schietta: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Es 17,7).
Il popolo che si è riunito un sabato di giugno porta ancora i segni dei due anni di epidemia; è un popolo munito di mascherina, prudente negli abbracci e reso ancor più ansioso a causa di una guerra vicina e di cui già soffre le conseguenze. In questo tempo per le comunità è stato difficile incontrarsi e, quando è sembrato possibile il rientro, ci si è ritrovati “dimezzati”. Poi ci sono le difficoltà di sempre: la diminuzione delle “scorte del credere”, la sproporzione che fu già di Elia “di uno contro 450” (il profeta da solo e i 450 sacerdoti di Baal). Ritorna la domanda: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?».
Il cavo teso nell’ultima domenica di settembre nella Giornata del mandato è stato tenuto alto da un’esperienza che ha dato slancio al Programma pastorale della Diocesi configurandolo come “cammino sinodale”. 109 i gruppi che hanno partecipato facendo proprio il metodo della “conversazione spirituale”, scegliendo uno o più dei nuclei tematici proposti. La “conversazione spirituale” consiste nel mettersi in un atteggiamento di vero ascolto della narrazione di fede di ciascuno, senza contradditorio, semmai, ma solo in un momento successivo, con la condivisione di quanto i racconti hanno suscitato in ciascuno. È quanto è stato fatto nelle comunità e nei gruppi da gennaio ad aprile con una rinnovata consapevolezza dell’azione dello Spirito Santo accolto nella fede come principale protagonista: una felice scoperta per tanti. Tutto è stato raccolto e consegnato a livello diocesano. In assemblea è stata riferita la sintesi: oltre 500 pagine riassunte in poco più di una decina. Un lavoro difficile e faticoso, eseguito con la volontà di fare un buon servizio, fedele al mandato ricevuto. Era necessaria una restituzione assembleare ed è stata contrassegnata da questa provocazione: «Abbiamo capito bene?». Come a dire: vi sentite interpretati dalla sintesi? È su questo che i dieci tavoli di lavoro si sono confrontati. La risposta è stata positiva. «È stato bello sentirsi chiamare per prendere la parola, di solito si è convocati per altro; continuiamo ad incontrarci». «Il metodo della “conversazione spirituale” ci aiuta a stabilire relazioni aperte e a camminare insieme». Qualcun altro aggiunge: «È stato come scattare una foto alla Diocesi. Ora è tempo di avanzare con più coraggio, di non pensare solo a quello che manca, ma di valorizzare quello che c’è. Desideriamo una Chiesa che sa affrontare le criticità e guardare in avanti affrontando il sociale come atto di carità». Ecco la sintesi in due parole: cura delle relazioni e formazione. In altre parole, ricominciare dall’ascolto e dalla comunione. L’anno pastorale è appena finito e provocatoriamente si conclude con il verbo ricominciare: «Ricominciare dall’ascolto e dalla comunione»! Concretamente l’ascolto consisterà nella ripresa dei gruppi sinodali, possibilmente con un allargamento dell’esperienza verso chi, pur di altra convinzione, accetta di fare un tratto di strada insieme. L’ascolto potrà diventare un atteggiamento permanente di ciascuno e della comunità: un tessuto di relazioni autentiche. È stato detto che non si è parlato di evangelizzazione e missione. Si terrà conto dell’osservazione. Dall’esperienza Covid si è compreso che missione non è attivismo, ma un sostare di fronte all’altro: «Ti ascolto, tu sei prezioso per me!». Non è questo il primo e fondamentale passo per la missione intesa come atto di amicizia?
Per quanto riguarda la formazione si vuol passare decisamente dalle dichiarazioni di intenti ai fatti: è già in cantiere una scuola base per tutti e specialmente per gli operatori pastorali (progetto e titolo sono in elaborazione). Questo e altro contribuirà a far accogliere il dono della comunione perché diventi anima delle comunità di fratelli che camminano insieme.

+ Andrea Turazzi, giugno 2022