Il trittico dei girasoli (Luglio-Agosto 2017)

Immagine: Vincent van Gogh La berceuse, 1889, olio su tela 92×73 cm. Museo Kröller-Müller, Otterlo
15 Girasoli col fondo giallo (ripetizioni delle 4 versioni) 1888 Van Gogh Museum, Amsterdam, Netherlands
12 girasoli col fondo grigio giallo (ripetizioni delle 4 versioni) 1888  Neue Pinakothek di Monaco

I girasoli rappresentavano molto per Vincent van Gogh. Egli, anzi s’identificava con essi. In una lettera del gennaio del 1889, scriveva al fratello Theo: «Forse saprai che la peonia è di Jeannin, l’altea appartiene a Quost, ma il girasole è in qualche modo mio…». Jeannin e Quost furono sublimi pittori di nature morte e fiori ma, certo, il rapporto che van Gogh ebbe con i fiori fu del tutto differente. Essi, per la loro corolla rivola alla luce perennemente assetati dell’abbraccio rovente del sole, rispecchiavano in modo straordinario l’animo di Vincent. Il 1889 fu un anno prolifico per l’arte di van Gogh, ma drammatico per la sua salute. Ricoverato più volte in un ospedale psichiatrico, le sue crisi s’intensificavano ogniqualvolta dipingesse all’aperto. Quel sole che la malattia gli negava, gli era restituito dalla corolla del girasole.
Poco prima di morire suicida, nel luglio del 1890, Vincent elaborò un trittico proprio con i girasoli. Il soggetto centrale doveva essere il ritratto di Augustine Roulin, moglie del postino che gli fu amico (Joseph Roulin). In questa donna aveva trovato una madre, una nutrice, Augustine incarnava l’ideale della donna forte, energica e materna, capace di sostenere il figlio nelle sue debolezze e insieme assecondarlo nel suo bisogno di affetto e comprensione. Per questo il ritratto è totalmente idealizzato, la donna si confonde quasi con la tappezzeria e la sedia sulla quale siede è la stessa usata da Gauguin nella convivenza della casa gialla ad Arles. Qui van Gogh tentò anche una sintesi tra il proprio stile e quello di Gauguin totalmente dedicato al cloisonninsme. Paul Gauguin amava realizzare superfici a tinte perfettamente piatte, contornate però da un segno nero che ne delimitasse la forma. Se lo sfondo e il corpetto della donna seguono la tecnica dell’amico, la gonna, il volto e le mani della signora Roulin rispecchiano lo stile vibrante delle pennellate di Vincent. L’effetto, sorprendente, offre davvero il ritratto della Madre ideale. Vincent correda il dipinto di una scritta che divenne il titolo stesso dell’opera: la Berceuse, ovvero colei che culla. Vincent aveva chiara anche la collocazione dell’opera: la cabina di una nave, dove i marinai affidati per mesi al mare e alla solitudine potevano ritrovare in questo dipinto gli affetti lasciati oltre oceano. Significativamente il ritratto doveva essere accompagnato a destra e a sinistra da due diversi dipinti di girasoli. Purtroppo il desiderio dell’artista olandese, non si realizzò mai. Le tre opere sono in Musei diversi, non furono mai appese nella cabina di una nave e ammirati dagli occhi pieni di nostalgia di alcun marinaio. È bello però pensare a quanto sole, mare e desiderio di vivere, l’artista abbia mescolato alla sua pittura nel realizzare queste tele. Esse per lui non erano semplicemente quadri, bensì il prolungamento visivo di un desiderio di bene, di comunicare agli altri quella parte di sé che scontrosità e malattia gli impedivano di rivelare.
In tal senso, seguendo una delle più probabili ricostruzioni del trittico, basate su un disegno che lo stesso Vincent fece su una lettera al fratello Theo, sorprende la posizione destinata ai due dipinti con i girasoli. Fra i tanti che egli realizzò questi sono noti come i quindici girasoli. La donna è rivolta verso il dipinto più cupo. Non è il primo quadro, cronologicamente parlando, ma il secondo. La maggior parte dei fiori sono maturi e lasciano vedere il loro cuore gonfio di semi. Alle spalle della donna, invece, il medesimo vaso accoglie i girasoli appena aperti, uno di questi – sulla sinistra – è addirittura ancora chiuso e verde. Solo due, al centro, stanno appassendo.
Il messaggio è chiaro. Van Gogh vede la donna come colei che veglia sui suoi fallimenti: «È come avere un gran fuoco nella propria anima e nessuno viene mai a scaldarvisi, e i passanti non scorgono che un po’ di fumo, in alto, fuori del camino, poi se ne vanno per la loro strada». Lo sguardo calmo di Augustine, esprime la capacità della donna di vedere dentro la sua infuocata interiorità, malata di solitudine. Alle spalle, invece, i girasoli più freschi raccontano l’animo fanciullo di van Gogh. Da piccolo, infatti, amava ritrarre i fiori e gli insetti, lasciando i genitori stupefatti per la precisione con cui il bambino ritraeva la natura. Così la donna custodisce in sé la memoria quella gioia antica, sempre cercata e viva, nel tormentato animo dell’artista adulto. E se le due tele dovessero essere invertite il significato non muterebbe: la donna con in mano le cordicelle cullerebbe quel sogno di felicità che l’artista affida ai girasoli e proteggerebbe alle sue spalle la realtà ferita e stanca di Vincent adulto.
Mi piace pensare che le corde in mano ad Augustine rimandano al rosario. Vincent, benché calvinista, era vissuto nel Brabante in una zona piena di cattolici. Egli scrive a Theo che i girasoli a destra e a sinistra del ritratto avrebbero fatto risaltare il giallo del volto della donna, rivelando la parentela della luce di quel viso, quasi aureolato, con i fiori. E che i fiori, in un vaso, siano quindici non mi pare certo casuale. Mi piace dunque pensare che a questa madre idealizzata, Vincent, affida il suo desiderio di protezione e amore simile a quello che ogni cattolico trova spontaneamente nella Vergine Madre del Cristo.
Suor Maria Gloria Riva
Monache dell’Adorazione Eucaristica – Pietrarubbia