Il Vaticano II e l’altare verso il popolo (seconda parte)

Il dibattito sull’altare verso il popolo nel Concilio Vaticano II va spostato su quanto lo stesso Concilio dice della liturgia, della sua celebrazione e soprattutto del soggetto di tale celebrazione. Il recupero del sacerdozio comune a tutti i fedeli è determinante nella comprensione del soggetto della celebrazione liturgica secondo il Vaticano II. Come già detto, questo concetto è esplicitato meglio negli altri documenti conciliari, come Lumen Gentium (cf. capitolo terzo) e il decreto Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici, con il richiamo costante ai tre uffici (sacerdotale, profetico e regale) che ricevono i credenti in Cristo, in virtù del dono del battesimo.
Così la liturgia, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione»” (SC 2), viene considerata dal Concilio “opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa” (n. 7). “Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre” (n. 7). Da qui l’affermazione: “Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è «sacramento dell’unità», cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; ma i singoli membri vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione effettiva” (SC 26).
Il battesimo, dunque, rende tutti i cristiani sacerdoti – con differenza di grado e di ministero – in quanto li unisce, li innesta nel corpo di Cristo, li consacra sacerdoti. Compito del sacerdote essendo di offrire a Dio preghiere e sacrifici, il battezzato esercita il proprio servizio sacerdotale con la preghiera, “partecipando” al Sacrificio dell’Eucarestia (non assistendo!) e offrendo le azioni della giornata a Dio. “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui…” (SC 48). Lumen gentium 11 si esprime negli stessi termini: “Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vittima divina e sé stessi con essa così tutti, sia con l’offerta che con la santa comunione, compiono la propria parte nell’azione liturgica, non però in maniera indifferenziata, bensì ciascuno a modo suo”.
È quindi tutto il popolo, ministri ordinati e fedeli laici, che è soggetto attivo della celebrazione liturgica, pur con modalità diverse, partecipando, offrendo, rendendo culto…, insieme. La posizione staccata dal muro dell’altare diventa conseguenza logica di tutto questo insegnamento in quanto, essendo l’altare il solo e unico “centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia” (OGMR, 296), tutto il popolo è convocato e radunato attorno ad esso per partecipare al sacrificio della croce che si rende presente nei segni sacramentali. Lo rammenta il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’altare, attorno al quale la Chiesa è riunita nella celebrazione dell’Eucaristia…» (n. 1383).
La Nota Pastorale L’Adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica afferma che “è necessario che l’altare sia visibile da tutti, affinché tutti si sentano chiamati a prenderne parte ed è ovviamente necessario che sia unico nella chiesa, per poter essere il centro visibile al quale la comunità riunita si rivolge. La sua collocazione è di fondamentale importanza per il corretto svolgimento dell’azione liturgica e deve essere tale da assicurare senso pieno alla celebrazione.
La conformazione e la collocazione dell’altare devono rendere possibile la celebrazione rivolti al popolo e devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti”. Papa Francesco ha ricordato che «verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso» (Discorso del 24 agosto 2017).
Tutto questo esplicita quella scarne ma significativa norma della riforma liturgica conciliare che ordina: “Si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a norma dell’art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, e specialmente quanto riguarda la costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e la erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione e dell’ornamento. Quelle norme che risultassero meno rispondenti alla riforma della liturgia siano corrette o abolite; quelle invece che risultassero favorevoli siano mantenute o introdotte” (SC 128).

don Raymond Nkindji Samuangala, settembre 2022
Assistente collaboratore Ufficio diocesano
per la Liturgia e i Ministri Istituiti