Imparare a camminare insieme con lo stile di Gesù

Dalla cura “a tu per tu” ad una cura organizzata

Come vivere il “ministero della sofferenza”

«Ognuno di noi oggi è qui per consegnare alla Madre la sofferenza, il dolore, la sua lotta personale e quella di tanti altri, ma viene invitato dalla liturgia ad uscire da sé, ad alzare lo sguardo per contemplare il Signore». Con queste parole il Vescovo Andrea si è rivolto all’assemblea riunita a celebrare la XXXI Giornata Mondiale del Malato. «Succede a tutti – rassicura – di ripiegarsi su di sé, soprattutto quando si è sotto un peso che schiaccia». Poi esorta, almeno per un attimo, a «volgere uno sguardo d’amore, di riconoscenza, di compassione a colui che hanno trafitto, Gesù» e, soprattutto, a decidere insieme di «non piangere su noi stessi, ma sul Signore, e in particolare sul suo Corpo Mistico che è l’umanità: Lui è il capo, noi umani le membra». Mons. Andrea ricorda in modo speciale le vittime e i sopravvissuti del terremoto in Turchia e in Siria. Nei giorni precedenti aveva chiesto alle comunità e ai fedeli il massimo impegno nel «sostenere la fede di tutti, invitare a fervorosa preghiera per i defunti, i sopravvissuti e i soccorritori e proporre una condivisione generosa».
Commentando i testi della liturgia della Parola, il Vescovo collega la Prima Lettura tratta dal libro di Isaia, il cosiddetto “carme del Servo sofferente”, al brano evangelico della Visitazione di Maria ad Elisabetta: «Il Servo sofferente, che prende su di sé il peccato dell’umanità, redime con la sua sofferenza e diventa luce per le genti – precisa – è il medesimo che Giovanni Battista dal grembo di Elisabetta, sua mamma, già riconosce e saluta danzando. La Visitazione di Maria, in fondo, è una visitazione del Signore: Maria è l’arca che lo porta».
«Ogni cristiano – aggiunge – può essere servo del Signore, rendendo presente ciò che Gesù ha già realizzato, perché in forza del Battesimo è unito a Cristo e, come Lui – se accetta – diventa membra della redenzione». Pertanto, «ogni dolore fisico, spirituale, morale può essere offerto per amore». Mons. Andrea presenta il Servo sofferente come modello di un vero e proprio «ministero della sofferenza che viene riconosciuto e consacrato da un sacramento specifico: l’Unzione degli infermi». Inoltre, «il cristiano prolunga il ministero del Servo sofferente facendosi carico, con la parola e con le opere, anche delle sofferenze dei fratelli». Basti pensare «alla fatica e all’impegno quotidiano di chi cerca la pace, la giustizia, di chi si spende per gli altri». «Anche questa ministerialità viene riconosciuta e santificata dall’unzione-sacramento, quella della Cresima», sottolinea il Vescovo.
Nell’esperienza della fragilità e della malattia, mons. Andrea vede un’occasione per «imparare a camminare insieme con lo stile di Gesù». Infatti, di fronte alla sofferenza, ognuno «tira fuori il meglio di sè: l’amore che ha dentro». Nel suo Messaggio per la Giornata il Papa pone davanti l’icona del buon samaritano. Il Vescovo evidenzia un particolare: «Il buon samaritano, all’inizio del brano, fa esercizio di fraternità e di cura “a tu per tu”, ma poi la cura si allarga ad una cura organizzata». Scendendo nel concreto, invita a prendere le distanze da «un certo tipo di cultura e di filosofia» che, alla domanda «che cos’è assolutamente dovuto alla persona malata?», risponde: «Ciò che i bilanci preventivi consentono», mettendo da parte il primato della persona. Mons. Andrea ritiene che, oggi più che mai, «sia necessario un supplemento di sapienza e di saggezza, che sappia vedere chiaramente qual è il bene intangibile della persona». Una comunità che cammina insieme diventa capace di «non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto» (Omelia nella Giornata Mondiale del Malato, San Marino Città, 11.2.2023).

Il digiuno: la più incarnata delle preghiere

Nella celebrazione di ingresso alla Quaresima mons. Andrea si sofferma in modo particolare sul digiuno, pratica che spesso non è ben compresa, ma che «fa bene al nostro corpo, al nostro spirito e al nostro rapporto con il Signore». Innanzitutto, «il credente, digiunando, coinvolge l’intero suo corpo». «La nostra fede – spiega il Vescovo – non è disincarnata. Quando Gesù ci chiede di camminare con lui chiede di investire anche la nostra corporeità: muovere dei passi con lui, mettere in azione dei muscoli: il digiuno è la più incarnata delle preghiere». Poi, digiunare è «un mezzo per partecipare a quello che vivono tanti poveri». Mons. Andrea mette in guardia da una forma sbagliata di digiuno, quando si cerca di instaurare una forma di scambio con il Signore: «Io digiuno e tu, Signore, fai quello che ti chiedo». E obietta: «Non si compra Dio!». Il Vescovo fa notare che «non è detto che perché digiuni Dio manderà magicamente un pasto caldo a quella famiglia che tribola nell’inverno dell’Ucraina». Però, «se digiuniamo per pensare a Dio, per essere uniti ai poveri, allora il digiuno è preghiera». Una provocazione per andare più in profondità: «Che beneficio ricava dal nostro digiuno chi ha fame?». «Digiunare di quello che serve a noi – risponde il Vescovo – ci lega veramente con chi soffre. La sofferenza dell’altro non ci sarà mai completamente accessibile, tuttavia digiunare esprime la misura della nostra capacità di fraternità». Il digiuno, poi, avvicina a Dio: «In fondo è un atto di fede, anche quando non vediamo gli effetti». «Non mangiare lascia un vuoto concreto – aggiunge –, ma è soltanto una metafora di un vuoto più profondo che dobbiamo ammettere di avere dentro di noi, un bisogno da colmare: “Non di solo pane vive l’uomo”».
Dalla domanda «perché digiunare?», mons. Andrea accompagna alla domanda «per chi digiunare?». «Digiuniamo per il Signore, affinché ci faccia sentire la fraternità come la sente lui!». E conclude: «Digiunare è come aprire una porta, creare uno spazio di disponibilità. Si può fare famiglia anche con il digiuno» (Omelia nel Mercoledì delle Ceneri, Pennabilli, 22.2.2023).

Paola Galvani, marzo 2023