In piedi davanti al Signore (Aprile 2016)

CONVERTIRE LO SGUARDO PER VEDERE CON IL CUORE

 Il cieco Bartimeo, il figlio prodigo e la donna adultera sono tra i peccatori più celebri dei Vangeli di Quaresima: anche il Papa, nelle parole seminate lungo il cammino verso la Pasqua, ne ha fotografato i movimenti, esteriori e interiori, che precedono e seguono l’incontro con Gesù. L’emarginato figlio di Timeo implora pietà dal Figlio di Dio; il figlio prodigo si inginocchia davanti al padre proclamando la sua indegnità, la sua “sporcizia” (Angelus, 6 marzo); quella che, secondo alcuni, sarebbe Maria Maddalena balbetta poche parole, incredula di essere scampata alla lapidazione e di avere ricevuto l’assoluzione (Liturgia, 13 marzo).
Bartimeo getta via il mantello “cioè quello che gli impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui”, senza paura di lasciare ciò che gli dà sicurezza, e si alza in piedi (Celebrazione Penitenziale, 4 marzo); al figlio prodigo, rivestito a nuovo, viene “preparato un banchetto per la festa del perdono”; Maria Maddalena da prostituta diventerà l’“apostola” per eccellenza.
Il passaggio del Signore, che Sant’Agostino temeva fortemente di non saper intercettare al momento opportuno, tocca e risveglia il cuore ferito e aperto di chi si riconosce peccatore, il “cuore dell’uomo” che “è la sintesi dell’umanità plasmata dalle mani stesse di Dio”: è lì che “Dio riversa la sua stessa sapienza” (Pontificia Accademia per la Vita, 3 marzo). I tre peccatori, come noi oggetto dell’“invincibile pazienza” del Creatore (Angelus, 28 febbraio), ritrovano la loro “statura spirituale – in piedi – la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere guardati da Lui negli occhi”.
“Di fronte a certe disgrazie e ad eventi luttuosi”, di fronte alla malattia, alla crisi, all’errore, al peccato, “può venirci la tentazione di scaricare la responsabilità… su Dio stesso”, restando seduti, vinti da un senso di fatalità e d’impotenza; le “disgrazie quotidiane” vissute con spirito evangelico devono invece provocare in noi “un serio esame di coscienza” perché possiamo “ravvederci” (Angelus, 28 febbraio). La prova è data “perché il popolo possa sperimentare l’amarezza di chi abbandona Dio, e quindi confrontarsi con il vuoto desolante di una scelta di morte” (Udienza generale, 2 marzo).
Dicevano i Medioevali che «“Ubi amor, ibi oculus”… dove c’è l’amore, lì c’è la capacità di vedere: un cuore che vede… vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente » (10° Anniversario “Deus caritas est”, 26 febbraio), qualunque sia il suo stato di vita, la sua professione, la posizione sociale ed economica (cfr. Udienza con Confindustria, 27 febbraio, e con Carabinieri di Roma, San Pietro, 29 febbraio).
Come e dove può raggiungerci la misericordia del Padre che ogni giorno sale sul terrazzo a guardare se noi figli torniamo? Certamente attraverso testimoni che incarnano il Vangelo, fino al dono della vita, come i tanti martiri di diverse confessioni cristiane (Visita del Patriarca ortodosso d’Etiopia, 29 febbraio) e come le Missionarie della Carità trucidate in Yemen proprio nell’anno di canonizzazione della Fondatrice (Messaggio di cordoglio, 5 marzo); oppure attraverso la lettura della Parola di Dio, “una sorella o un fratello misericordiosi”, un’esperienza di vita. La “via certa”, però, “percorrendo la quale si passa dalla possibilità alla realtà, dalla speranza alla certezza”, è quella di Cristo e della Chiesa cioè quella del Sacramento della Riconciliazione. A novelli sacerdoti e seminaristi il Papa ha ricordato che anche “nel caso limite in cui io non posso assolvere”, il penitente deve poter sentire “il calore di un padre! Che lo benedica e gli dica di tornare. E… preghi un po’ con lui o con lei” (Penitenzieria Apostolica, 4 marzo). La parola «che oggi arriva nel nostro cuore, è la stessa della creazione dell’uomo: “Alzati!”. Dio ci ha creati in piedi: “Alzati!”», come Bartimeo che, sanato, seguiva Gesù lungo la strada; o come l’apostolo Giovanni, che aveva seguito il Maestro fino al momento terribile della morte in croce: con lo sguardo ormai purificato, la mattina di Pasqua corse al sepolcro e, contemplando il buio della tomba vuota, i teli e il sudario, “vide e credette” al Risorto (Gv 20,5-8).
* Monache dell’Adorazione Eucaristica – Pietrarubbia