La creatività della liturgia

La creatività è possibile nella liturgia? In che termini? È intangibile?

Giovanni

La domanda di Giovanni è pertinente e rimane sempre di attualità considerando le reazioni che hanno accompagnato la riforma liturgica del Vaticano II ad oggi: per qualcuno, si era fatto troppo poco, per qualcun altro si era esagerato. Va detto subito che la posizione del Concilio e della Chiesa si trova in mezzo ai due estremi, come lo vedremo dopo. Per rispondere correttamente a questa domanda dobbiamo ricuperare ciò che dice l’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) riguardo allo stesso Messale, libro liturgico rappresentativo di tutti gli altri. Nel Proemio, l’OGMR afferma (e lo dimostra) che il Messale Romano scaturito dalla riforma liturgica del concilio Vaticano II, e promulgato da Paolo VI, è un libro espressione della “testimonianza di una fede immutata”, “prova di una tradizione ininterrotta”, e risultato del necessario “adattamento alle nuove condizioni” in cui la Chiesa si trova a vivere e operare. Questa presentazione del Proemio dell’OGMR è da leggere alla luce della Sacrosanctum Concilium n. 21 che afferma – e con ciò dà la posizione equilibrata della Chiesa – che la liturgia “consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o addirittura devono variare, qualora si siano introdotti in esse elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia stessa, oppure queste parti siano diventate non più idonee. In tale riforma l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria”. L’espressione “creatività” non è la più felice, in quanto sente di un continuo desiderio di inventare qualcosa di nuovo, di spettacolare, e soprattutto questa invenzione facilmente è riconducibile alla soggettività e ai gusti personali.
La riforma liturgica parla di adattamento, termine ripreso dall’OGMR, per fare comprendere che si tratta di una esigenza dettata dalla attenzione della chiesa al bene grande della vita spirituale dei fedeli di oggi. Tutto deve essere fatto in funzione di questa finalità: “l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria”. Quindi, adattamento, sì. Tuttavia, essendo la liturgia espressione della fede e della tradizione della Chiesa nonché manifestazione-esigenza dell’ortodossia della sua dottrina, questo adattamento non viene lasciato al libero arbitrio del celebrante. Egli lo fa dentro le possibilità offerte dagli stessi libri liturgici nella loro autonomia – e sono tante –, senza inutili protagonismi e dannose improvvisazioni, spesso fonte di tanti abusi. Ciò esige la conoscenza delle norme liturgiche e dei libri liturgici e, quindi, per valorizzare a pieno le possibilità di adattamento che essi offrono. Si ricordi sempre, però, che il potere di proporre all’approvazione degli organi competenti della sede apostolica i cambiamenti necessari da introdurre nei riti liturgici per comprovate necessità del popolo è concesso ai soli Vescovi. Se i riti devono essere così “trasparenti” da lasciare esprimersi chiaramente le sante realtà che essi significano, lo devono essere ancora di più i celebranti. Solo servitori dei misteri, mai protagonisti e meno ancora padroni di essi!

don Raymond Nkindji Samuangala, giugno 2020
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti