La frazione del pane

Domanda: Perché il celebrante non spezza il pane nel momento della consacrazione, come ha fatto Gesù nell’ultima Cena? Perché lo spezzamento del pane è prima della Comunione? (Paolo S.)

Ho già trattato questo argomento nell’articolo di dicembre 2019, parlando dei “riti di comunione”, e di maggio 2021 del Montefeltro. Tuttavia, lo riprendo al fine di fare alcune precisazioni. Dopo gli eventi pasquali del Signore Gesù l’unica modalità che abbiamo noi di entrare in comunione con Lui è quella sacramentale. Infatti, “ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi misteri” (San Leone Magno, Sermones, 74, 2). E i sacramenti non sono una riproduzione storica di ciò che il Signore ha fatto. Quello è successo una volta per sempre. “I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina. I riti visibili con i quali i sacramenti sono celebrati significano e realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento (CCC, 1131).
Dopo questa premessa ricuperiamo il dato assodato secondo cui la frazione del pane, il gesto fatto da Gesù nell’ultima Cena ed anche la sera della risurrezione a Emmaus, ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica sin dal tempo apostolico (cf. At 2,42). È il gesto incruento con il quale Gesù ha voluto significare il suo sacrificio cruento sulla croce, che salva il mondo. E ci salva nella misura in cui entriamo in comunione di vita con Lui, cibandoci del suo corpo come voluto da Lui stesso. Nel sacramento ciò avviene con la comunione eucaristica. Per ciò l’ordinamento liturgico non prevede la frazione del pane nel momento del racconto dell’istituzione, bensì ne fa un rito a parte, prima della comunione eucaristica proprio per sottolineare il fatto che il sacrificio salvifico è in vista della comunione di vita con il Signore. A sua volta, la comunione con Gesù è scaturigine ed esigenza della comunione ecclesiale di tutti i fedeli, anche se il rito legato al nome “frazione del pane” ha perduto gran parte della sua ragione pratica, poiché in genere, da molti secoli, la frazione riguarda il «pane» per il sacerdote e i concelebranti, non per i fedeli. Esso conserva, tuttavia, un significato simbolico, cioè che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane, che è Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo (cf. 1 Cor 10,17).
L’episcopato italiano ha cercato in qualche modo di ricuperare il rito antico prescrivendo: «Conviene che il pane azzimo, confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote possa davvero spezzare l’ostia in più parti, da distribuire almeno ad alcuni fedeli» (Precisazioni, n. 7). Quindi l’ostia magna dovrebbe essere più grande di quelle abituali in modo da poter essere spezzata in tante parti da distribuire anche ad alcuni fedeli, non solo ai concelebranti.
Durante la frazione del pane si canta l’Agnello di Dio che può essere ripetuto più volte “tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito”. Purtroppo in molte nostre chiese questo canto viene intonato mentre ci si scambia ancora il segno della pace, perdendo in tal modo il suo vero significato che è quello di accompagnare ed esprimere il senso sacrificale del rito della frazione del pane. Deve quindi essere intonato mentre il ministro inizia a spezzare il pane consacrato.

don Raymond Nkindji Samuangala, gennaio 2022
Assistente collaboratore Ufficio diocesano
per la Liturgia e i Ministri Istituiti