La mietitura (Luglio-Agosto 2019)

Pieter Bruegel il vecchio, La mietitura, 1565 (119 x 162 cm), olio su tavola, Metropolitan Museum of Art, New York (NY)
Il caldo, il sole, l’aria pesante gravano sul paesaggio. Bruegel vuole rappresentare i mesi estivi (in particolare agosto), quando ogni movimento è faticoso e il lavoro nei campi arduo. Bellezza e modernità sono le caratteristiche di quest’opera che si distacca totalmente dall’iconografia precedente sul medesimo tema. La maggior parte degli studiosi designa questo dipinto come il prototipo della pittura moderna e denuncia l’assenza di riferimenti religiosi a favore di un’attenzione disincantata alle attività umane. Può essere. Una tale posizione entra però in contrasto con il resto della produzione bruegeliana dei mesi dove, se da un lato il senso religioso è camuffato in scene apparentemente quotidiane, dall’altro un monito o un intento didattico-morale continua ad essere presente nell’intento dell’artista. Una serie di contrasti contribuisce a creare la sensazione statica e faticosa della calura estiva. Nel lato sinistra della tela, contadini sono impegnati nella mietitura. È la scena che dà il titolo all’opera. I mietitori, come le donne che raccolgono i covoni, sono colti mentre operano con movimenti lenti e affaticati; la loro attività, sia pure rallentata, contrasta con un paesaggio immobile e monocromatico che esaspera, appunto, la fatica. Il lato destro, invece, più cromaticamente vivace, vede in primo piano uomini e donne pressoché immobili, come vinti dalla stanchezza e abbandonati al sollievo della fortuita frescura. Stanno consumando un pasto, ma i gesti paiono bloccati in un «fermo immagine» eterno. Sotto l’albero centrale – un pero – un contadino riposa anticipando uno dei temi dell’albero della Cuccagna, opera dello stesso Bruegel. È proprio quest’uomo a offrirci la chiave di lettura di tutta l’opera. Mi piace leggere questa figura come una sorta di psicopompo che ci permette di passare da questo mondo all’altro. Il suo sonno è simbolo, infatti, del sonno eterno. Anche il sentiero che taglia a metà il campo di grano segna una divisione e quindi un passaggio fra due poli, due rive (questo mondo e l’altro). Un uomo sta uscendo dal sentiero e si dirige proprio verso il contadino addormentato. Sappiamo che in tutta la scrittura, ma particolarmente nell’Apocalisse, la mietitura e la raccolta del grano sono messe in relazione al giudizio finale. Gli alberi in evidenza, poi sono due. Uno in primo piano, come abbiamo già notato, è un pero. Lo riconosciamo anche per il fatto che la donna di spalle tiene alcune pere sul panno bianco e altri contadini le stanno consumando con del formaggio. Il secondo albero è sullo sfondo, più nascosto. Un contadino lo sta scuotendo perché possa regalare i suoi frutti agli affamati. Si tratta di un melo. Se i tronchi dei due alberi si fondono con il paesaggio giallo, le chiome si confondono con la radura verdeggiante, all’interno della quale scorgiamo due piccole chiese: una a destra nascosta fra gli alberi, e due a sinistra, dolcemente adagiate fra gli alberi e le colline. Esse si contrappongono al castello, che posto nel paesaggio dietro al carro di fieno, ne assimila il cromatismo. Nel giorno ultimo del giudizio tutto si fermerà e resteranno solo i gesti degli angeli mandati a vagliare le anime come il grano. Chi si è nutrito dell’albero del peccato, il melo, avrà bisogno di trovar riparo sotto un altro albero, quello dell’Incarnazione. Il riposo sotto l’albero del pero è, infatti, pieno di rimandi simbolici.
Il pero è un antico simbolo mariano: i suoi fiori bianchissimi simboleggiano la verginità della Madonna, mentre i suoi frutti, così facilmente assimilabili nella forma al corpo femminile quando è gravido, sono simbolo di fecondità. Anche il panno bianco indica il parto miracoloso della Vergine Madre, avvenuto senza spargimento di sangue. Così, i contadini che mangiano sotto il pero rappresentano quanti si sono nutriti del cibo del Messia, ovvero della sua Incarnazione. Un antico adagio recita così: al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere. Proprio di questo si nutre il gruppo a riposo, un cibo succulento e semplice insieme, rimando a quella promessa messianica in cui vino e latte saranno dispensati gratuitamente. L’albero del melo, invece, sta solitario. Un uomo è colto nell’atto di rubare mele dai suoi rami, un altro le sta raccogliendo frettolosamente da terra. Due gesti furtivi che, con la solitudine, rimandano all’esperienza del peccato. Anche le scene sullo sfondo mostrano il destino dell’uomo e l’esito dell’ultimo giorno. Un gruppo di bambini pratica, infatti, lo sport del sangue del gallo, gioco piuttosto sadico dove un gallo, legato e con possibilità ridotta di movimento, viene sistematicamente colpito con pietre mentre cerca di fuggire. Il gioco simboleggia l’accanimento dell’uomo contro l’uomo e contro le verità divine, in particolare la risurrezione della quale il gallo è simbolo. Dalla parte opposta, invece, uomini trovano sollievo bagnandosi nel laghetto, un rimando al battesimo che ci purifica dalle antiche attività ludiche peccaminose per restituirci alla grazia. I mesi della calura, con i ritmi rallentati e la temperatura infuocata, suggeriscono a Bruegel la meditazione sulla fine di tutte le cose e la necessità di trovare ristoro e nutrimento nei luoghi santi, che permangono freschi nell’ora della siccità, così come azzurri e ombrosi sono i tetti delle due chiese nel paesaggio. Il senso recondito del dipinto sembra dunque efficacemente rappresentato da un famoso testo del profeta Geremia (17,5-8): «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti».
suor Maria Gloria Riva