L’Eucarestia nei suoi riti. I primi tre secoli (Aprile 2017)

In questo periodo si assiste a nuovi sviluppi sia dal punto di vista teologico che strutturale. Didachè o “Dottrina dei Dodici Apostoli”, offre un quadro liturgico attorno agli anni 100 fatto di agape, convito a carattere devozionale, e di eucaristia la domenica, con un forte richiamo a frequenti celebrazioni, per la salvezza dell’anima. All’inizio del I secolo Ignazio di Antiochia insegna che l’eucaristia, celebrata dal Vescovo con il clero e tutto il popolo manifesta il volto autentico della Chiesa e crea comunione e unità di essa. Anche Ignazio ammonisce circa la necessità di radunarsi frequentemente per l’eucaristia e la preghiera. A metà del II secolo S. Giustino, filosofo morto martire nel 165 circa, testimonia nella Prima Apologia (cap. 65, 66 e 67) che la domenica è il giorno in cui i cristiani si riuniscono e, tra le altre cose, fanno il memoriale dell’ultima cena di Gesù. La celebrazione ha già una struttura precisa: una liturgia della Parola, con lettura delle “memorie degli apostoli”, cioè i vangeli, e gli scritti dei profeti. Seguono l’omelia del presidente e la preghiera dei fedeli. Dopo la preparazione dei doni (pane, vino e acqua), colui che presiede pronuncia la “preghiera di ringraziamento” alla quale il popolo risponde con l’Amen. “Si fa allora la distribuzione e la comunione a ciascuno dei presenti, del cibo consacrato, e i diaconi ne portano agli assenti”. Fanno parte della celebrazione anche le offerte “che vengono raccolte e consegnate a colui che presiede… per aiutare gli orfani, le vedove, quanti per malattia o altra ragione sono nel bisogno, per i carcerati e per i forestieri di passaggio. Insomma egli soccorre chiunque si trovi in necessità” (cap. 67). Non è una semplice “strategia” per raccogliere più fondi in una grande assemblea. I destinatari di questo gesto ci dicono che sullo sfondo c’è Mt 5 che, a sua volta, ci rimanda al gesto della lavanda dei piedi nell’ultima Cena. Attraverso i poveri, è il Signore stesso che viene riconosciuto, accolto e servito. Ed è ciò che avviene nella celebrazione. Perciò la raccolta delle offerte durante la celebrazione è un elemento che fa parte integrante di essa. Giustino spiega anche perché i cristiani celebrano di domenica, che chiama “giorno del Sole”: “perché questo fu il primo giorno della creazione, quando Dio trasformò le tenebre e ordinò la materia informe; in secondo luogo perché in tale giorno Gesù Cristo nostro salvatore risorse dai morti”. Lo schema giustiniano non ci permette tuttavia di conoscere i testi liturgici utilizzati per la celebrazione. I primi testi ce li offre verso la fine del II secolo la Traditio Apostolica (Tradizione Apostolica) di Ippolito. Vi è codificata una “preghiera eucaristica” che verrà ripresa dalla liturgia nata dalla riforma del Vaticano II, riadattata e inserita nel Messale Romano con il nome di Preghiera eucaristica II. La Traditio Apostolica afferma anche che i testi presentati non sono vincolanti, ma il vescovo è autorizzato a una libera formulazione di essi (cfr. n. 9), e cioè ad adattarli. Si può affermare che i primi tre secoli, pur con una varietà di formulazione dei testi e dei singoli riti, conoscono tuttavia una complessiva struttura unitaria della liturgia cristiana in tutta la Chiesa. Lo schema di S. Giustino sembra essere la base della maggior parte delle celebrazioni eucaristiche fino ad oggi (L. Fendt).

don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti