Senza il primo “non esiste possibilità di vita buona, né di riforma”
Un “perfetto sconosciuto” (Omelia, 09.05) abita in noi, prigioniero della nostra anima arrugginita dallo “spirito del mondo”: è lo Spirito Santo, dono del Padre e del Figlio risorto, che ci insegna a «guardare il Padre e a dirgli: “Padre”», che ci rende testimoni del Vangelo di Cristo, liberandoci dalla “condizione di orfano nella quale lo spirito del mondo vuole portarci”. Individualista, sfruttatore, appassionato di denaro e di ricchezze (Omelia, 19.05), lo spirito mondano è contrario ai doni di sapienza e di discernimento (Unione Internazionale Superiori Generali, 12.05 e 69ª Assemblea generale CEI, 16.05), di pietà (Udienza giubilare, 14.05 e Discorso Fondazione Centesimus Annus, 13.05) e di timor di Dio (cfr. Omelia, 19.05) che lo Spirito ha donato a Maria e agli Apostoli nel Cenacolo, e che ancora oggi palpita sottovoce dentro di noi.
“Grazie allo Spirito Santo, Amore che unisce il Padre e il Figlio e da loro procede, tutti possiamo vivere la stessa vita di Gesù” (Regina coeli, 15.05), portando unità e pienezza, dignità e lavoro laddove regnano divisioni, interne allo stesso mondo cristiano (Omelia, 12.05 e 17.05), e sfruttamento delle persone con la creazione di una nuova forma di schiavitù “civilizzata” del lavoro, fatta di contratti e di salari iniqui che, ricorda il Papa con forza, è uno dei peccati mortali che grida vendetta e giustizia al cospetto di Dio (19.05). Tanti sono oggi gli esempi di solitudine e di “orfanezza” (Omelia, 15.05): “tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna ad una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre”. La docilità alla voce dello Spirito, attraverso la preghiera e i Sacramenti, può riaccendere e riattivare in noi la forza di vita, la gioia che animarono gli atti dei primi apostoli (UISG, 12.05), reinserendoci nelle relazioni d’amore della famiglia divina, la Trinità. Le “icone” della docilità all’azione dello Spirito, indicati nel mese di maggio da Papa Francesco, sono Maria, madre della Chiesa e modello della donna consacrata, e i sacerdoti, i quali agiscono in persona Christi (CEI, 16.05). “Come Mosè” il sacerdote “è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. È scalzo, il nostro prete, rispetto a una terra che si ostina a credere e considerare santa. Non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano… consapevole di essere lui stesso un paralitico guarito… Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro”. Egli è “strutturalmente”, come lo è ciascun battezzato, un “missionario”, uno che avendo incontrato Cristo in un rapporto di amicizia, non può che comunicarlo agli altri (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2016). In un mondo che ci vuole rendere orfani di madre e di padre, di relazioni d’amore autentiche, improntate al dono di sé, il prete “ama la terra, che riconosce visitata ogni mattino dalla presenza di Dio. È uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni. Il Regno – la visione che dell’uomo ha Gesù – è la sua gioia, la triplice appartenenza che ci costituisce: appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno”. “Il pastore è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive. Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero… In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro (dei sacerdoti, ndr) primo compito è quello di costruire community”, è la diffusione dell’“attitudine alla relazione”. Le parole di Gesù ai discepoli, pronunciate nel Cenacolo prima di essere consegnato ai suoi giudici e uccisori, “non vi lascerò orfani” (Gv 14,18), “ci fanno pensare anche alla presenza materna di Maria nel Cenacolo. La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera: è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. È la Madre della Chiesa… Mediante il Fratello universale, che è Gesù, possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso” (15.05). Appartenenza, dedizione e relazione sono gli antidoti del Vangelo alla cultura “mordi e fuggi”, alla superficialità e alla tristezza alla quale consumismo ed eccesso di tecnologia ci stanno consegnando: che il soffio dello Spirito, che ogni giorno ci raggiunge attraverso la Parola di Dio e le parole del Vicario di Cristo, ridoni ardore e freschezza alla nostra vita e alla nostra fede.
Monache dell’Adorazione Eucaristica – Pietrarubbia