L’Ultima Cena nel ciclo di affreschi a Pennabilli
Immagine: Anonimo marchigiano, Ultima Cena, inizi del XV secolo, tempera su intonaco
Continuiamo il nostro viaggio all’interno del ciclo degli affreschi di Pennabilli, presente nella chiesa di Sant’Agostino accanto all’affresco della Vergine in trono, nota come Madonna delle Grazie. Dopo esserci soffermati sull’episodio di Abramo che offre la decima a Melchìsedek, re di giustizia e di pace, l’anonimo artista ci offre una riflessione sul Mistero dell’ultima Cena. Melchìsedek, sovrano misterioso senza patria né genealogia, rappresenta per tutti i padri della Chiesa una prefigura del Cristo, mentre l’offerta del pane e del vino da parte di Abramo, è vista dai Padri come un’anticipazione dell’Istituzione dell’Eucaristia operata da Cristo nell’ultima Cena. Come si comprende tutto l’impianto degli affreschi rappresenta, come già detto, una vera e propria catechesi attorno al mistero eucaristico. L’ultima Cena è situata al centro della composizione; tale ubicazione dice l’importanza dell’evento e, potremmo dire, offre il titolo e il senso di tutto il ciclo degli affreschi.
La disposizione della scena e dei Dodici risente della lezione Leonardesca, datata meno di un decennio prima (1494-1498), ma conserva alcune posizioni, come quella di Giuda dalla parte opposta del tavolo, abbastanza consuete nell’iconografia classica dell’ultima Cena. L’artista cattura il momento solenne in cui Giovanni, interpellato da Pietro, rivolge a Cristo la domanda: «Maestro chi è colui che ti tradisce?». La risposta del Maestro è emblematica: «Colui che intinge il boccone nel mio piatto…» e, a queste parole, Cristo porge del pane intinto nel suo piatto a Giuda. Il dialogo è evidenziato dal gioco dei colori negli abiti dei tre protagonisti: il giallo e il rosso. Questo rimbalzare di toni fra Giuda, Giovanni e Gesù sta a indicare la diversità di risposta al Mistero in atto da parte dei due discepoli più amati da Gesù. Nel primo, Giovanni, vive un amore incondizionato che rimarrà fedele fin sotto la croce, nel secondo, invece alberga un amore immaturo che giunge al sacrilegio. Assumere il boccone dalla mano del Cristo, senza la disposizione del cuore fu per Giuda una sorta di comunione sacrilega che anticipava nel segno il gesto del tradimento che da lì a poco avrebbe compiuto. Tutti i discepoli sono impegnati in un gesticolare denso di sorpresa e di domanda, sul modello, appunto, della famosa Cena leonardesca di Milano. Pietro, rigido, impugna il coltello anticipando -anche lui – nel segno, quello che si sarebbe poi verificato nell’Orto degli Ulivi.
Il pane dato a Giuda e l’anfora del vino in primo piano, in continuità con l’offerta di Melchìsedek, indicano che si tratta dello stesso sacrificio: là in figura, qui nella realtà. Il sacrificio di Cristo, tuttavia, richiede un tradimento e una consegna, Giuda, infatti, alzandosi di scatto mostra di tenere nella mano destra la borsa dei denari. Accanto a lui c’è un apostolo, forse Tommaso, anche lui segnato dall’incredulità al punto, che dopo la risurrezione intingerà il suo indice nelle piaghe così come ora Cristo intinge il pane nel suo piatto per offrirlo a Giuda; tra gli apostoli egli è l’unico a guardare verso di noi. L’apostolo tiene i due indici puntati: quello della mano destra è alto e levato, come a decretare l’ineluttabilità del gesto sconsiderato di Giuda, mentre nell’altra mano lo stesso indice è indirizzato verso il traditore. Era Tommaso del resto che, secondo il Vangelo di Giovanni, dopo la domanda sul traditore, chiede a Gesù: «Signore, non sappiamo dove vai come possiamo conoscere la via?». E la via è quella della passione.
Leonardo aveva collocato Giuda all’interno della schiera dei discepoli, senza una particolare distinzione, quasi a sottolineare, come vuole san Tommaso, il libero arbitrio consegnato ad ogni uomo. Il nostro affresco, invece, in accordo con tutta la tradizione agostiniana e francescana, vuole Giuda collocato dalla parte opposta della tavola rispetto a Gesù e ai dodici, come un predestinato. A compendio delle due posizioni teologiche, l’artista lo veste di giallo (colore assegnato tanto all’invidia e alla pazzia che all’elezione divina), quasi a sottolineare che entrambe le possibilità stavano davanti all’apostolo e alle sue scelte.
Anche davanti alla tavola si ripropone il dramma di una scelta. Un gatto e un cane, in primo piano, si contendono un boccone caduto dalla tavola. I gatti sono simbolo di malizia, i cani di fedeltà. Qui il gatto sembra avere la meglio sul boccone. Un altro gatto è nascosto proprio sotta il sedile di Giuda: la malizia segna ormai irrimediabilmente i passi del traditore.
suor Gloria Maria Riva, ottobre 2023