Maestri, perché sempre discepoli

Riflessioni in margine alla “Tre Giorni”del Clero
Si è appena conclusa la “Tre giorni” di studio, fraternità e convivialità dei nostri preti: una tappa troppo importante da passare inosservata. La formazione permanente del Clero interessa non solo i protagonisti, ma tutti. Si comprende, infatti, quanto siano decisivi l’aggiornamento e quella conversione in prospettiva missionaria tanto auspicata. Da parte loro i presbiteri sono consapevoli che il tempo dedicato alla vita comune – preghiera, studio, convivialità – non è rubato alla parrocchia o al ministero, ma è un investimento. Forse il più urgente e il più necessario. Vederli mentre stanno insieme e si fanno attenti e disciplinati alunni, dà edificazione, accresce la loro autorevolezza e incoraggia: maestri, perché sempre discepoli! È consuetudine che le giornate vengano aperte dalla preghiera e da una breve meditazione del Vescovo. Fedele a questa prassi ho iniziato ciascuna giornata con una sorta di “fotografia” della comunità presbiterale con i suoi pregi, le sue fragilità e le nuove sfide. La fotografia – per sua natura – coglie un aspetto o una interpretazione della realtà (premessa necessaria e doverosa che segna il limite di queste riflessioni). Il primo scatto coglie le diversità di provenienza, di cultura, di formazione e di età dei nostri presbiteri. Su 64 preti (religiosi e monaci compresi) solo una ventina sono originari della Diocesi. Questo dato è motivo di comprensibili contraccolpi nelle relazioni e di fatica nel gioco di squadra. A questo si aggiungono i condizionamenti dovuti alla collocazione in un territorio così complesso e disagiato. Inevitabile la ricaduta in un certo individualismo. Ma in questa singolare diversità c’è tanta ricchezza e complementarità. In che modo questa caratteristica può essere una risorsa? È certamente una sfida, un laboratorio ecclesiale di comunione e un bozzetto di quanto oggi sta vivendo la Chiesa nella globalizzazione della missione. Prevale la gratitudine per la disponibilità di questi fratelli alla missione e per la generosità nel lasciare famiglia e patria per essere a servizio del Vangelo nel Montefeltro. Ad unire e a fare da denominatore comune – pur con le umane fragilità – è la comune risposta alla sequela radicale del Signore. È un segno che edifica, ma che non dispensa da una forte e costante pastorale delle vocazioni in Diocesi. Il Vescovo, mentre rinnova il proposito di incoraggiare, correggere e servire questo presbiterio, fa sue le parole di san Paolo ai Corinti: «Ringrazio continuamente il mio Dio per voi… perché in Cristo Gesù siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della Parola e quelli della Scienza».
Il secondo scatto fotografa la prossimità dei presbiteri al nostro popolo. Lo si è visto in questo tempo di epidemia: vicini, con le stesse solitudini, le stesse sofferenze, senza esenzioni, ma anche creativi, capaci di parole di fede e di gesti di carità e speranza. C’è una lunga tradizione, tipica delle nostre parti, che fa della casa canonica tutt’altro che un castello o una rocca. Ascolto, accoglienza, “farsi uno”, sono dimensioni della carità pastorale, sempre da coltivare. La fotografia non censura, tuttavia, le stanchezze, le amarezze e le singolarità. Il lavoro che il prete fa su se stesso è la prima forma di ministero verso la sua gente. Troverà, fra quanti gli sono vicini, chi saprà dirgli la verità per crescere insieme in piena comunione? «Aiutatemi – diceva Sant’Agostino alla sua gente -, perché trovi gioia non tanto nell’essere capo, quanto nell’essere utile servitore».
Il terzo scatto ritrae, a prima vista, un presbiterio piuttosto stanziale. Giudizio impietoso? È un presbiterio fedele alle tante celebrazioni eucaristiche (troppe?), a tutti gli atti di culto e agli adempimenti richiesti. Una domanda: quanto tempo dedicato al culto e quanto alla evangelizzazione? Vangelo, sacramento, carità sono tre dimensioni essenziali per la vita e la missione della Chiesa, come tali non sono mai disgiungibili: stanno insieme o cadono insieme. Tuttavia, oggi è urgente l’evangelizzazione, che comprende certamente il cammino dell’iniziazione cristiana, la formazione dei giovani, il sostegno alle famiglie, la perseveranza degli adulti, l’accompagnamento degli ammalati, ma evangelizzazione è soprattutto aprire nuove strade di relazione, mettersi seriamente in ascolto del tempo e delle persone, non avere paura delle nuove sfide. «Guadagnare ad ogni costo qualcuno» non è uno slogan, ma il criterio dell’attività missionaria: guadagnare sta per salvare, una logica di servizio solidale. Alla luce di questo criterio non si tratta di cambiare o di adattare il Vangelo alle esigenze degli ascoltatori, ma di adattare se stessi e il proprio modo di vivere per favorire l’accoglienza del Vangelo. Questa la forma urgente e nuova della carità pastorale: stare tra la gente con la gioia del Vangelo.

+ Andrea Turazzi, ottobre 2020