Non la “solita primavera”

Coraggioso cammino verso Pasqua

Ce lo siamo detti che non sarebbe stata “la solita Quaresima”. Ed è stato così! Anzitutto perché lo garantisce la Parola di Dio: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 6,2)». La Quaresima è un tempo forte, un kairòs: viene data un’altra chance. Come la primavera, che ritorna con nuovi germogli, nuovi colori e nuovi profumi: non puoi dire “la solita primavera”! Che sarebbe stata una Quaresima diversa l’hanno detto gli avvenimenti di queste settimane: la persistenza dell’epidemia Covid e soprattutto l’esplosione del conflitto nel cuore dell’Europa: all’inizio timori, poi avvertimenti, infine guerra totale.
Mentre si va in stampa nessuno può dire come evolverà la situazione. Intanto si prega, ci si informa, si esprime vicinanza alle persone che ne subiscono più direttamente le conseguenze. Ma è proprio vero che non si può fare nulla? D’accordo, non ci è dato di interagire con la geopolitica, ma possiamo e dobbiamo prendere sempre più coscienza dell’interconnessione fra stati e popoli, fra risorse e interessi, tra fedi e culture. Quello che accade ne è la manifestazione storica. Ci sembrava di aver abbandonato per sempre le ragioni della forza, ma siamo da capo a recuperare la forza della ragione. L’insidia più pericolosa è quella della rassegnazione e più ancora quella dell’ironia sui piccoli passi che puoi fare: essere artigiano della pace con la creatività, la perseveranza e la cura dei particolari; fare la pace, sentire sulla propria pelle la fatica dell’abbandonare sentieri di guerra fra persona e persona, fra gruppo e gruppo; essere pace nella logica evangelica del sale, che sciogliendosi dà sapore, e del lievito che fermenta la pasta. Nonostante tutto, questo fa mentalità e dà speranza. Ostinatamente!
Per la comunità cristiana la Quaresima quest’anno coincide con un’esperienza straordinaria, che coinvolge – senza essere eclatante – persone ad ogni latitudine del pianeta. Si tratta del Cammino Sinodale indetto da papa Francesco per la Chiesa intera. È stata sdoganata una parola antica, ma dal significato perenne, sinodo: “fare strada insieme”. A chi ci sta è stato proposto di mettersi in cammino fianco a fianco. Gesù, come ha fatto con i viandanti di Emmaus, cammina con loro e ripropone la domanda: «Che cos’è che state vivendo lungo il cammino?». Sulle spalle dei viandanti ci sono delusioni, amarezze e paure. Nella nostra Diocesi si sono formati un centinaio di “gruppi sinodali”. La maggior parte si sono costituiti in ambito parrocchiale, ma non mancano gruppi o esperienze di ascolto in ambiti diversi e laici. Ogni gruppo risponde in modo diverso e originale alla proposta, ma già si coglie un denominatore comune: la gioia di ritrovarsi dopo l’isolamento e le distanze obbligate; la sorpresa per una convocazione nella quale ci si sente valorizzati ed ascoltati; la proposta di un metodo più evangelico di confronto, di lettura della realtà; l’allargamento verso coloro con i quali si è in debito di ascolto.
Il lettore ormai conosce l’evento nei suoi aspetti più generali (il nostro mensile ne scrive da tempo, ndr). Sa che l’obiettivo non è l’elaborazione di un “megadocumento” o l’adesione ad una grande consultazione o ad un cartello di rivendicazioni ecclesiali. Non è questo lo spirito del Cammino Sinodale. Paradossalmente non è altro che riscoprire l’ovvio: vivere! Cioè fare esercizio di comunione e di corresponsabilità. Sono stati indicati dei nuclei tematici sulle relazioni dentro e fuori la Chiesa. L’incontro non può prescindere da spazi e tempi di preghiera e di confronto con la Parola di Dio. Sul silenzio condiviso ognuno dei partecipanti esprime un pensiero o – meglio ancora – racconta come ha incontrato e visto Dio all’opera nella sua vita e nella vita della comunità (parlare di noi, alla fine, annoia; parlare di quello che fa Dio sorprende!), ma nulla vieta la condivisione di una fatica e il parlare francamente senza l’ansia del “controllo” della situazione.
Su questo promettente terreno non mancano delle “mine”. Vanno disinnescate. È una metafora della conversione. Ad esempio, la tentazione della disillusione: finito il tempo di questo cammino cosa succederà? Tornerà tutto come prima? Contenuti, stile e metodo sono da portare avanti e da rilanciare: «Ci stiamo solo scaldando i muscoli». La sinodalità è dimensione permanente della vita ecclesiale. Qualcuno si chiede: dove ci porterà questa “democratizzazione” interna alla Chiesa? Non sono in discussione la responsabilità ed il magistero dei pastori. Compito del Cammino Sinodale non è produrre pronunciamenti dottrinali o prendere posizioni su verità della fede. Il gruppo sinodale resta su un altro piano: è uno strumento di educazione all’ascolto e al discernimento. Il ritrovarsi è essenziale per la vita e la missione della Chiesa: non basta la fede, ci vuole anche la gioia di condividerla. Il popolo di Dio ha ricevuto nell’iniziazione cristiana l’effusione dello Spirito Santo; quando si mette in ascolto della Parola ed è unito ai pastori gode del “sensus fidei” o – come dice papa Francesco – «ha il fiuto del santo popolo di Dio».
C’è chi vede in questo procedimento narrativo, qualcosa di troppo semplice e quasi infantile, ma la narrazione parte dalla realtà, facilita la comunicazione, suscita empatia e coinvolgimento. In molti gruppi sinodali si constata l’affiorare, alla fine dell’incontro, di qualcosa di nuovo, che non si era previsto all’inizio. Questa che è stata avviata è solo la prima parte di un cammino che proseguirà con l’individuazione di alcune priorità pastorali e con una fase importante di discernimento e di rilancio per non lasciar cadere «quello che lo Spirito dice alle Chiese».

+ Andrea Turazzi, marzo 2022