Osare la gioia (Novembre 2018)

Echi della prima parte del programma pastorale.
«Fervet opus!». Con queste due parole il poeta Virgilio fotografa la vita e il ronzio di un alveare. Parole che si adattano bene all’avvio di questo anno pastorale. In Diocesi – ma le singole parrocchie, le associazioni e i movimenti non sono da meno – si divulgano, si moltiplicano e si sovrappongono iniziative e proposte. Il tema dell’anno aleggia abbastanza timidamente; tuttavia, qua e là, viene richiamato e offre spunti per il cammino. In effetti si sente la necessità di tornare all’essenziale e di riferirsi al nucleo centrale del cristianesimo: l’annuncio del Cristo Risorto. Alla domanda a cui si è invitati a rispondere nell’arco di questi mesi, non è facile dare una risposta, ma, se si riflette insieme, si raccolgono esperienze di annuncio che hanno restituito gioia, riaperto dialoghi, ridata speranza. «Siamo debitori del primo annuncio alla gente che vive accanto a noi… », così il documento di programmazione pastorale diocesano. E rilancia: «In quali momenti ci è capitato di fare il primo annuncio, il kerygma?». Papa Francesco traduce così il kerygma: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti… ». C’è chi ha attualizzato così la forza del kerygma. «Una bella signora ha chiesto di parlarmi. Da qualche anno aveva chiuso col suo matrimonio: una separazione dolorosa ma inevitabile. Stava colmando il vuoto frequentando un altro uomo, sposato e con figli. C’era qualche soddisfazione, qualche scintilla di felicità in questo rapporto, ma non c’era gioia. Durante il colloquio, dopo molto ascolto, ho azzardato questa risposta: “Posso solo proporti una cosa: la santità”. Mi sottraevo ad una estenuante serie di considerazioni, più o meno valide, sul piano psicologico. Mi è parso risolutivo annunciare la proposta di Gesù. Quella signora è rimasta senza parole: sorpresa e commossa. “La santità? La santità… a me?”. Aveva intuito (ma ci fu bisogno di qualche precisazione) che non le indicavo tanto un traguardo morale, ma le facevo sentire una chiamata bella, possibile, sorgente di gioia: “l’opposto del peccato non è la virtù, ma la fede” (S. Kierkegaard)! Ha creduto. Ci fu un tempo di lotta. Ci furono cadute. Ma divenne sempre più evidente che quell’annuncio era accompagnato da una luce particolare, da un dono favorito da un incontro mai vissuto prima con il Cristo. E la vita è cambiata!». C’è chi preferisce il termine felicità al termine gioia: «Gioia è una parola con una connotazione cristiana…». Non capisco del tutto questa precisazione: mi sembra un po’ impertinente, ma ha l’effetto di farmi tornare alle prime parole dell’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium, che hanno una risonanza particolare dentro di me: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. […] Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». Effettivamente la parola ‘gioia’ evoca una tonalità religiosa. La gioia è il vero distintivo dei credenti, più delle medagliette e delle coroncine: gioia che viene da dentro e illumina lo sguardo. Questa gioia è nutrita dalla fiducia, vive della speranza, talvolta coabita con la sofferenza e con la prova. È una gioia levigata e lucidata dalle difficoltà della vita, a guisa del ruscello che canta quando inciampa nei sassi! È la gioia di sapersi amati, in tutte le circostanze. Da qui, “la dolce gioia dell’amore di Dio”, come scrive papa Francesco. Dobbiamo essere fieri di questa gioia; ai credenti non è consentito essere tristi e disillusi. «Ci sono cristiani che sembrano avere un’aria di Quaresima senza Pasqua». Nessun bagliore di speranza nel loro sguardo, nessun segno di serenità nei loro atteggiamenti. Il sorriso sulle labbra, la luce negli occhi, talvolta parlano di Dio meglio di tante parole: sono il segno autentico della nostra serenità, della nostra fiducia, del nostro amore. La nostra gioia è la più bella maniera di evangelizzare.
✠ Andrea Turazzi