FASE 2: Tempo di ascolto, di condivisione e di proposte educative
Sono pienamente d’accordo. La fase 2 è più rischiosa della fase 1. Per sottovalutazione del pericolo, soprattutto. Molti pensano che ormai il problema sia alle spalle. Si tratterebbe solo di riprendere, pian piano, la vita normale. La vita è ripresa non perché il virus ha smesso di uccidere, ma perché era necessario tornare al lavoro per non morire di crisi economica. Non sono pessimista: invito solo alla responsabilità e a non abbassare il fervore della preghiera. Forte il richiamo di papa Francesco la mattina del 14 maggio, giornata di preghiera e digiuno insieme a tutti i credenti, uniti nella fraternità; «non la stessa orazione, ma la stessa intenzione»: un grido di aiuto verso il Cielo. Il lockdown è servito a rallentare la diffusione della epidemia per non mandare in tilt la sanità pubblica. Gli ospedali non avrebbero retto ad una diffusione incontrollata del virus, tutta d’un colpo. Gli italiani e i sammarinesi, tutto sommato, hanno reagito bene. E questo fa ben sperare per il futuro. Mi dice un amico, responsabile della Pastorale sanitaria: «Se il 10% degli italiani è stato toccato dal virus, almeno una percentuale doppia dovrà affrontare il contagio prima che si arresti». Mi auguro ci siano maestri che ci aiutino a capire che questa nuova normalità deve moderare il ritmo ingannevole che avevamo. Si impone uno stile di vita sobrio, misurato e accogliente: purificare le relazioni prossime per guadagnare il senso profondo delle relazioni universali. Servono intelligenze, cuori e volontà che abbiano proposte per la fase 2 coi problemi umani e spirituali che si fanno sentire più chiari nell’anima e nella coscienza, con la crisi economica che si va facendo sempre più pesante, con le famiglie stanche per il carico che da mesi devono sopportare, con l’estate che sta esplodendo e che vedrà molti senza possibilità di vacanze. La fase 2 è partita. È prevalsa l’attenzione ai protocolli e ai regolamenti (tot capita, tot sententiae). Ma dovrebbe diventare un tempo di ascolto, di condivisione solidale, di proposte educative. È necessario uno sguardo attento a chi ha perso persone care, a chi è malato, a chi è caduto in povertà. Ci sono poi buone pratiche da coltivare come la condivisione intelligente delle immagini di questi mesi, come lo scambio di esperienze di umanità. La fase 2 dopo l’emergenza si prolungherà nel tempo: ci farà ancora più persuasi della nostra precarietà e più accorti e prudenti nella elaborazione dei programmi e nella stesura delle nostre agende. Tuttavia, anche questa fase può essere “tempo favorevole”, perché formativa all’accoglienza reciproca, alla pazienza, alla moderazione. Si va verso un tempo nuovo di vita ecclesiale con nuovo stile di relazioni, più fraterne anche se distanziate. L’aspetto organizzativo susciterà altre forme di servizio e di ministerialità, quali rendere più salubre il ritrovarsi in comunità, offrire risposte alle esigenze dell’accompagnamento, garantire presenze capillari nella pastorale sanitaria. Le scelte effettuate dalla Diocesi, in sintonia con la Conferenza Episcopale Italiana, sono state di buon senso. Di fronte alla non conoscenza degli effetti e della cura del virus e al gran numero di contagi e di morti, abbiamo agito con prudenza e responsabilità, facendo nostre le norme stabilite dalle autorità. Abbiamo valorizzato tutti i mezzi a disposizione per accompagnare le persone. Discutibili le critiche a questa linea ritenuta arrendevole, poco zelante nel rivendicare la libertà della Chiesa, apparentemente sorda alle richieste dei fervorosi. Ci sono altrettante testimonianze da parte di chi ha reagito all’emergenza con un di più di preghiera, con una più intensa rete di rapporti, con la fruizione di altri segni della presenza del Signore Risorto.
+ Andrea Turazzi, giugno 2020