«Più grande è l’amore, più comprensibile è il dolore»

Giorni di cuori, volti, occhi bagnati di lacrime

Il terzo venerdì di marzo, a Pennabilli, si festeggia il “Venerdì Bello”. Si ricorda la lacrimazione dell’immagine della Madonna, custodita nel Santuario a lei dedicato, avvenuta il 20 marzo 1489: «Un evento di lacrime, ma tramandatoci come bellezza»! Nell’omelia pronunciata alla presenza dei cittadini di Pennabilli in festa e di tutti i sacerdoti della Diocesi il Vescovo Andrea ha approfondito il tema delle lacrime, «punto d’incontro fra corpo e anima: le lacrime esprimono sentimenti, accompagnano la preghiera, indicano un dolore esteriore ed interiore, fisico e spirituale; una distinzione – quest’ultima – improbabile, perché il dolore e le lacrime dicono l’unità della persona nella sua realtà psicofisica». Aprendo lo sguardo al mondo, mons. Andrea osserva che «le lacrime più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si vede strappare violentemente una persona cara, di chi si sente abbandonato, fallito, incompreso». «Ci sono lacrime – sottolinea – che ci fanno onore, quando sono segno della partecipazione del cuore alle sofferenze degli altri e alla Passione del Signore». Le lacrime sono un tema ricorrente nelle Sacre Scritture, in cui «ci sono un’umanità che piange, un popolo in cerca di liberazione, cuori, volti, occhi bagnati di lacrime». Tra i personaggi biblici, il Vescovo si sofferma sulla figura di Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai suoi fratelli per gelosia. Giuseppe piange ben cinque volte; le prime tre sono lacrime di commozione «suscitate dall’incontro, dall’affetto, dalla gioia di ritrovarsi, non dal dolore». «Si piange anche di gioia!», esclama mons. Andrea. Poi seguiranno lacrime di dolore, quelle versate per la morte del padre, e quelle, le più pungenti, versate per i suoi fratelli, che dichiarano di non credere al suo perdono. Mons. Vescovo mostra che Giuseppe è figura di Dio ed esorta a liberarsi «dalla mentalità presente nei fratelli di Giuseppe», spiegando che «la riconciliazione avvenuta in Gesù Cristo non è quella in cui il peccatore cerca di riconciliarsi con la divinità». Anzi, l’annuncio evangelico è proprio all’opposto: «È Dio, nel suo Figlio, ad essersi già riconciliato con noi, a prescindere dalle nostre colpe» (Omelia nei Venerdì di Quaresima al Santuario del SS. Crocifisso, Longiano, 10.3.2023).
Storie di lacrime sono presenti anche nel Nuovo Testamento. Mons. Andrea riferisce quelle della “donna silenziosa”, che «contengono il dolore per il suo peccato e la consolazione per il perdono» e quelle di Paolo di Tarso che «esorta con lacrime» e «scrive lettere tra lacrime di delusione». Anche Gesù scoppia a piangere «per la morte dell’amico Lazzaro e alla vista di Gerusalemme ingrata». Inoltre, «di Gesù – prosegue – l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che, nei giorni della sua vita terrena, “offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime”». Rivolgendosi ai sacerdoti richiama il “ministero di consolazione” che esercitano in quanto “annunciatori di Risurrezione”, «un quotidiano asciugare lacrime, un piangere con chi piange, fino a proclamare la beatitudine: “Beati voi che ora piangete, perché riderete”». Il Vescovo conclude con una riflessione sulle “lacrime di Dio” per rispondere alla domanda che ha rivolto ai presenti all’inizio della celebrazione: «Il Cielo è vicino alle nostre vicende? C’è sofferenza in Dio? C’è partecipazione al dolore umano?». Se consideriamo la sofferenza «nel suo aspetto di limite, imperfezione, mancanza» non si possono mettere insieme «lacrime e perfezione divina». Tutto cambia «quando la sofferenza viene collocata nell’ambito dell’amore». Allora «viene riscattata dalla sua negatività: più grande è l’amore, più comprensibile è il dolore». Mons. Andrea richiama l’esperienza di Mosè al quale è dato di sentire le parole di Dio che ha visto la sofferenza del suo popolo e udito il suo grido. Ed è sceso per liberarlo. Dunque, «Dio vede, sente, partecipa e, soprattutto, ama». Poi, «per la fede cristiana Dio si fa uomo: in Gesù Cristo vuole provare come sta l’uomo sotto il peso della croce, come patisce per l’amarezza dell’ingratitudine, come risuonano nel petto i battiti del cuore umano e quanto è abissale l’oscurità delle notti dell’anima». Gesù assume tutte le fragilità dell’uomo per redimerle (Omelia nella Solennità del “Venerdì Bello”, Pennabilli, 17.3.2023).
Motivo di sofferenza in questo periodo pasquale continua ad essere la guerra. La guerra tra Russia ed Ucraina e le tante guerre nel mondo, spesso dimenticate. In occasione del Convegno intitolato “Profezia per la pace” il Vescovo ha indicato il metodo che può sostenere questa “profezia”: il metodo della fraternità e del dialogo. «La pace – avverte – è come un atto sospeso tra la memoria ferita e la profezia scritta nel cuore dell’uomo. È un processo cui è chiamato ogni popolo, l’intera famiglia umana». Mons. Andrea esorta a «mettere in stretta connessione la speranza per la pace nel mondo con l’impegno per la pace nel proprio mondo». Occorre «costruire la pace nelle relazioni ed aprirci ad uno stile che non nega il conflitto ma sceglie di attraversarlo disarmati». Mons. Vescovo spiega la distinzione fra “conflitto” e “guerra”. «“Conflitto” è espressione dell’esistenza della libertà, che attiene all’area delle prospettive, dei punti di vista, dei legami e dei legittimi desideri», mentre «la “guerra” è un modo errato di risolvere un “conflitto”. Un “conflitto” scivola verso la “guerra” se non includo con la mia le altre prospettive possibili». E conclude: «Collochiamoci nella profezia per la pace riconoscendo che la pace è persa solo nel momento in cui smettiamo di sperarla» (Saluto al Convegno “Profezia per la pace”, Domagnano RSM, 23.3.2023).

Paola Galvani, aprile 2023