Quali suggerimenti e pedagogia per i “lettori di fatto”?

Domanda – Quali suggerimenti può dare a noi “lettori” di fatto, chiamati volta per volta a leggere la Parola di Dio nell’assemblea? Quale “pedagogia” suggerisce? (Pina)
Il Cerimoniale dei Vescovi afferma che il lettore “viene istituito per il compito che gli è proprio di proclamare nell’assemblea liturgica la parola di Dio. Per questo, nella Messa e nelle altre azioni sacre proclama le letture, eccetto il vangelo; nel caso in cui mancasse il salmista, recita il salmo fra le letture; nel caso in cui mancasse il diacono, annunzia le intenzioni della preghiera universale” (n. 31). Anche il Messale Romano si esprime negli stessi termini (cf. OGMR, nn. 196-198)”. Sono stessi servizi del lettore “di fatto”. Entrambi i documenti parlano di “proclamare”. Infatti, l’azione di far udire la parola di Dio è detta “proclamazione della parola” perché non è solo questione di leggere bene e distintamente (ci vuole anche questo). Si tratta anche di dare testimonianza dei fatti e delle parole annunciate, di impegnarsi per quanto viene affermato, di favorire l’ascolto da parte di coloro che sono chiamati ad accogliere quanto hanno udito. Proclamare equivale a rendere pubblico, acclamare, confessare e rivelare. Per questo colui che proclama deve impegnarsi per farsi udire da tutti, usando ogni accorgimento personale e tecnico. Proclamando si acclama e si venera la Parola di Dio, se ne dichiara pubblicamente il valore e l’importanza, si confessa la propria fede in colui da cui si è inviati; di conseguenza la proclamazione agisce sugli uditori perché entrino nell’atteggiamento di fede, consapevoli di trovarsi di fronte all’autore del messaggio. Il lettore esercita un ministero dell’annuncio di una parola che non è sua, ma di Dio, come si conclude ogni lettura: Parola di Dio (non “È Parola di Dio”). Ciò significa da una parte acquisire una piena consapevolezza che si è dei “ministri” (ordinati, istituiti o di fatto, poco importa), ossia dei servitori chiamati a dare voce, respiro, corpo e volto alla parola proclamata nella liturgia, non dei padroni di essa. Quindi evitare ogni protagonismo personale, lasciando invece la scena al signore stesso. Infatti, egli “è presente nella sua parola” (SC 7). Anzi, è Lui che parla al suo popolo tramite il ministro che proclama la sua parola. D’altra parte, trattandosi di “proclamare la Parola”, il servizio esige anche un’adeguata preparazione. La catechesi per adulti, la formazione liturgica nelle parrocchie, specialmente nell’ambito del gruppo liturgico, gli aggiornamenti per ministri organizzati dal servizio diocesano di Liturgia, hanno proprio questo scopo. Ci sono anche dei sussidi che offrono valide indicazioni sulla proclamazione della Parola.
In tutti i casi, fondamentale è la consapevolezza di essere “servitori”. Perciò la più importante preparazione per ogni lettore è prima di tutto il rapporto personale con la Parola. Maria ci offre la migliore “pedagogia”: serbare, meditare, nutrirsene, lasciarsi abitare dalla Parola, poi permettere (dare voce e corpo) che sia la Parola stessa ad esprimersi tramite la vita del ministro che la proclama! Dunque, “Memore della dignità della parola di Dio e dell’importanza del suo ufficio, curi assiduamente le modalità di una corretta dizione e pronunzia, affinché la parola di Dio sia chiaramente percepita dai partecipanti. Quando poi annunzia agli altri la divina parola, la accolga docilmente anche lui e la mediti con attenzione, così da darne testimonianza con il suo comportamento” (Cerimoniale dei Vescovi, n. 32).

don Raymond Nkindji Samuangala, novembre 2020
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti