Rimanere in Lui… andare e portare frutti

Dal “mandato” alla “verifica”

Un altro anno pastorale pesantemente condizionato dall’emergenza Covid-19 si è appena concluso. È tempo di bilanci e di ripartenze sulle ali della speranza riconsolidata nella Pasqua e nella Pentecoste. Dopo aver ricevuto, nel settembre scorso, il “mandato” con il Programma pastorale, la Diocesi si è riunita nella “verifica” di fine anno, sabato 22 maggio.
«Il contenuto del Programma pastorale – afferma mons. Andrea rivolgendosi agli operatori pastorali – ci spronava a riscoprire e a vivere sempre più in profondità la missione che Gesù Risorto affida ad ogni discepolo, dimensione essenziale per la vita cristiana». «Ci siamo riproposti – precisa – di non fraintendere: la missione non è attivismo, ma richiede anzitutto di affondare sempre più le nostre radici nell’ascolto della Parola, nell’attenzione alle persone e alle sfide del tempo presente. La traccia ci indicava alcuni obiettivi: fare esercizi di ascolto, aprire nuove strade di relazione, fare nostro l’invito di Gesù a “non avere paura”. In fondo, si trattava di comporre la proposta di Gesù di rimanere in lui e di andare e portare frutti» (Lettera ai parroci e agli operatori pastorali, 6.5.2021).
«Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). «È la linfa – commenta il Vescovo restando nell’allegoria scelta da Gesù – che unisce il tralcio alla vite. La linfa, che non è frutto del tralcio, è puro dono: è la grazia». Da notare: «Il tralcio da solo non può far frutti, ma neppure la vite! Il Signore vuole che siamo tutt’uno con lui, che dentro di noi accada l’alchimia che trasforma la linfa in frutti». Il Signore vorrebbe che la sua vigna abbracciasse il mondo intero. Questo progetto «si completerà nel Cielo, ma fin da adesso deve essere “in terra come in cielo”» (Omelia nella V domenica di Pasqua, Perticara, 2.5.2021). «Gesù si è fatto uomo, è diventato terrestre – spiega mons. Vescovo commentando l’Ascensione del Signore – e ha fatto dei terrestri, di noi, uomini capaci di raggiungere il Cielo. Quindi c’è del Cielo sulla terra – è Gesù incarnato – e c’è della terra nel Cielo – è Gesù Risorto» (Omelia nell’Ascensione del Signore, Romagnano, 16.5.2021).
A volte sembra impossibile, ma Dio si preoccupa della nostra gioia, desidera che la nostra gioia sia piena. Lo sappiamo perché Gesù è venuto a dircelo. «Non si tratta – spiega mons. Andrea – di euforia psicologica o di chissà quale emozione; non è altro che il riverbero in noi della grazia, del rapporto che Gesù va stabilendo con ciascuno di noi». E aggiunge: «Mi dispiace quando il cristianesimo viene presentato come qualcosa di triste, mortificante, negativo. L’annuncio è sempre un annuncio pasquale, di gioia».
L’uomo è chiamato a fare suo lo stile della Trinità – che Gesù presenta mediante l’esemplarità del suo rapporto con il Padre – anche nel suo rapporto con la creazione: «L’uomo è re del creato, ma non alla maniera del despota: usa della natura e dell’ambiente, ma non ne abusa. Tutto orienta al bene comune». «Oggi assistiamo – illustra mons. Vescovo alla celebrazione diocesana per il mondo del lavoro – a modelli socio-economici che contrappongono sviluppo da una parte e sostenibilità dall’altra; la dimensione globale, governata da grandi poteri, va contro l’autonomia locale delle persone che responsabilizza». Per questo «è nostro compito riaffermare la dignità dell’uomo nella sua interezza, con il suo diritto alla salute, al lavoro e alla tutela del creato».
Affiora una radicale domanda di senso: «Perché lavoriamo?». «Molti rispondono dicendo che si lavora per portare il pane a casa». Andando più in profondità, «forse lo scopo più vero e più profondo del lavoro dovrebbe essere quello di darci l’occasione di esprimere noi stessi». «La mancanza del lavoro – segnala – è come un’amputazione alla dignità della persona. Nel lavoro ci si percepisce utili e significativi. In questo senso, il tema del lavoro ha a che fare con la fede e con la santità». E chi un lavoro ce l’ha come lo vive? «A volte facciamo lavori che non vorremmo fare e il lavoro non è più il luogo dove esprimo me stesso, ma dove accumulo frustrazioni, fatiche, malumori. Tutto questo può essere capovolto attraverso una conversione dello sguardo: fare per amore, per amore di qualcuno» (Omelia nella celebrazione del 1° Maggio, Pennabilli, 1.5.2021).
Quest’anno il Vescovo ha celebrato la Giornata del Lavoro in un’azienda che, in questi mesi, «ha combattuto una dura battaglia»: l’Ospedale di Stato di San Marino. «La comunità cristiana – osserva mons. Andrea – vede nella sollecitudine di Gesù verso i malati l’esempio normativo della propria condotta e guarda con speciale sensibilità le persone provate dal dolore». Ma ha pure un annuncio da dare: «Gesù ha voluto patire per la salvezza dell’umanità. Dalla meditazione della sua Passione attingiamo la forza per trasformare il peso, pur grave, della malattia in una offerta santificante». Rivolgendosi agli operatori sanitari conclude con una raccomandazione: «Davanti ai vostri occhi e alle vostre mani avete una persona con la sua dignità e con i suoi diritti: essa porta scolpita in sé l’immagine di Dio Creatore (cfr. Gen 1,27). È in questo riferimento al trascendente principio di ogni essere umano che trova il fondamento ultimo il dovere di soccorrere il prossimo senza distinzione di razza, di convinzioni, di religione, di nazionalità. Il rapporto medico-malato diventa, in tal modo, sempre più un incontro tra due fratelli» (Discorso nella Giornata del Lavoro, Borgo Maggiore RSM, Ospedale di Stato, 3.5.2021).

Paola Galvani, giugno 2021