Riti di Comunione: “Frazione del pane”

La frazione del pane (OGMR, n. 83) ricorda il gesto compiuto da Cristo nell’Ultima Cena, secondo la concorde testimonianza dei Vangeli sinottici e quella paolina (cfr. 1 Cor 11,24) ed anche la sera della risurrezione con i due discepoli di Emmaus (Lc 24,35). Sin dal tempo apostolico questo gesto del Signore ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica come ce ne dà testimonianza il libro degli Atti degli Apostoli (At 2,42). Per sottolineare il significato fortemente cristologico ed ecclesiologico nel contempo l’ordinamento liturgico non prevede, durante la celebrazione eucaristica, la frazione del pane nel momento del racconto dell’istituzione, bensì ne ha fatto un rito a parte. Il rito legato a questo nome ha perduto gran parte della sua ragione pratica, poiché in genere, da molti secoli, la frazione riguarda il «pane» per il sacerdote e i concelebranti, non per i fedeli. Ma conserva un significato simbolico, cioè che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane, che è Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo (cfr. l Cor 10,17). Secondo l’Ordinamento Generale, la frazione del pane non si sovrappone al gesto dello scambio della pace ma inizia dopo lo scambio di pace essendo quest’ultimo, come l’abbiamo già visto, un gesto breve e circoscritto ai vicini. Ovviamente essa “deve essere compiuta con il necessario rispetto” per evitare la dispersione di frammenti del pane consacrato (n. 83). L’episcopato italiano esorta a valorizzare questo gesto: «Conviene che il pane azzimo, confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote possa davvero spezzare l’ostia in più parti, da distribuire almeno ad alcuni fedeli» (Precisazioni, n. 7). Quindi l’ostia magna dovrebbe essere più grande di quelle che abitualmente utilizziamo in modo da poter essere spezzata in tante parti da distribuire anche ad alcuni fedeli, non solo ai concelebranti.
Legata alla frazione del pane è l’immixtio, ossia la mescolanza di una piccola porzione dell’ostia con il vino consacrato nel calice. Il suo significato è spiegato dalle parole che accompagnano il gesto, con il riferimento all’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo vivente e glorioso: “Il Corpo e il Sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. È quindi un richiamo all’unità del Corpo e del Sangue nell’unico Cristo, il Cristo vivo e risorto. Nello stesso tempo un affermare che è un cibo escatologico per noi, che ci apre all’eternità di vita. Durante la frazione del pane si canta l’Agnello di Dio che può essere ripetuto più volte “tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito”. L’ultima invocazione termina sempre con le parole «dona a noi la pace». Purtroppo in molte nostre chiese questo canto viene intonato mentre ci si scambia ancora il segno della pace, perdendo in tal modo il suo vero significato che è quello di accompagnare ed esprimere il senso del rito della frazione del pane. Deve quindi essere intonato mentre il ministro inizia a spezzare il pane consacrato. A questo punto l’Agnello del nostro riscatto è pronto per nutrirci del suo corpo e del suo sangue!

don Raymond Nkindji Samuangala, dicembre 2019
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti