Riti di comunione: “Padre nostro” (Ottobre 2019)

Si potrebbe dire che la preghiera eucaristica culmina in questa parte in quanto i riti di comunione esprimono il senso e la finalità di tutta la celebrazione: entrare sacramentalmente in comunione di vita con il sacrificio del Signore, anche attraverso il gesto concreto e materiale del “mangiare” e del “bere”. Di fatto, i riti di comunione manifestano pienamente il carattere conviviale della celebrazione eucaristica, dicono che essa è «un convito pasquale» e quindi «conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale» (n. 80). La Comunione dei fedeli, e non solo del sacerdote, è parte integrante della celebrazione eucaristica. Il ricco e vario complesso rituale tende per un verso a disporre (frazione del pane e riti preparatori) e per l’altro verso ad accompagnare la Comunione (canto di Comunione). Di ognuno di essi l’OGMR offre la giustificazione, cioè il significato che assume nel contesto dei riti di Comunione. Padre nostro o preghiera del Signore (n. 81): introdotta e sviluppata (embolismo) dal sacerdote, la preghiera è orientata alla Comunione soprattutto per la domanda del pane quotidiano (inteso dalla tradizione patristica come pane eucaristico, Cristo Signore) e per la purificazione dai peccati in modo che realmente “i santi doni vengano dati ai santi” (n. 81). La terza versione italiana del Messale sottolinea che solo il Padre Nostro viene cantato o recitato da tutta l’assemblea, mentre la sua introduzione e il suo sviluppo o embolismo (“Liberaci, o Signore da tutti i mali…”) sono riservati al solo sacerdote. Il popolo conclude con la dossologia “Tuo è il regno…”. Una domanda è stata fatta sul gesto che potrebbe accompagnare il canto o la recita del “Padre Nostro”. Il gesto di tenersi per mano, diffusosi nel post Concilio Vaticano II e mutuatosi da altre tradizioni cristiane, non viene raccomandato dai documenti della Chiesa. Per vari motivi che non sto a spiegare qui, non andrebbe fatto in una celebrazione comunitaria. Interessante invece è ciò che il Messale prescrive: il sacerdote “Allarga le braccia e canta o dice insieme al popolo”. L’allargare le braccia qui sembra riferito al solo sacerdote, che deve, tuttavia, cantare o recitare la preghiera con tutto il popolo. Questa preghiera essendo di tutto il popolo, la sua esecuzione esprime quel sacerdozio battesimale che è comune sia al ministro ordinato che a tutto il popolo. Il gesto di allargare le braccia in questo momento preciso non sarebbe quindi tipicamente presidenziale, perciò potrebbe essere fatto da tutta l’assemblea in virtù appunto del sacerdozio comune o battesimale! È in questo senso che la Conferenza Episcopale Italiana, se da una parte sconsiglia il tenersi per mano durante il Padre Nostro, dall’altra spiega che è invece corretto tenere le mani alzate verso l’alto. Il documento suggerisce, infatti: “Durante il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera” (“Precisazioni sulla celebrazione eucaristica, Principi e Norme per l’uso del Messale Romano”, 1983, n. 1). Rimane, tuttavia, un gesto facoltativo, il cui significato andrebbe previamente spiegato nella catechesi, e che comunque deve essere fatto con compostezza, evitando ogni spettacolarizzazione come per tutti i gesti ed atteggiamenti durante ogni celebrazione liturgica.
don Raymond Nkindji Samuangala
Assistente collaboratore Ufficio diocesano per la Liturgia e i Ministri Istituiti