Questa volta l’editoriale del “Montefeltro” assomiglia alla tavolozza di un pittore con i colori uno accanto all’altro. Parto dalle ultime parole del ciclo liturgico del Natale; sono riferite ai Magi, i quali “per un’altra strada fanno ritorno al loro paese” (cfr. Mt 2,12). I Magi hanno cercato, hanno trovato e poi hanno sostato adoranti davanti al Bambino nato a Betlemme. Ma è importante anche il ritorno: sarà strada nuova, perché quell’incontro fa nuovi. E noi, come stiamo tornando dal presepio? Solo bagliore o luce diffusa? Domande ineludibili: cos’è stato il Natale per me? Si è arricchita di contenuti la mia fede? Ho saputo imbroccare una strada nuova o sto tornando per la strada di prima? Come i Magi siamo stati in cammino con la guida di una stella, una stella fatale che assomiglia al desiderio che rende inquieti finché non si giunge alla meta. Ho chiesto a diversi amici: “E tu, che nome dai alla tua stella?”. Molti hanno raccolto la provocazione. C’è chi ha risposto: “La mia stella si chiama speranza”; c’è chi l’ha chiamata “coraggio”, chi “voglia di famiglia”, chi “desiderio” … Rilancio la provocazione anche al lettore: “Trovale un nome!”. Come per i Magi, anche per noi, il ritorno è reale, non metaforico. Già le prime settimane dell’anno nuovo sono segnate da avvenimenti inquietanti: altri attentati in Europa e fuori, sbarchi e frontiere inospitali, tensioni sui grandi temi sociali, episodi di cronaca nera che non finiscono mai… a tutto questo ognuno aggiunge la sua agenda piuttosto accidentata. A Betlemme abbiamo incontrato un Dio che si è fatto bambino. Incredibile! Un bambino già pronto a percorrere le contrade di Galilea che non si isola nel deserto come il Battista. No, va in mezzo alla gente, nei luoghi in cui abita l’uomo, sulle strade di tutte le Galilee del mondo. Così, l’uomo qualsiasi, catturato dalle sue occupazioni e preoccupazioni quotidiane, lo può incrociare. E quel giorno tutto può cambiare. Il ritorno da Betlemme è, appunto, nel quotidiano. “Dov’è il Re dei Giudei?”. I Magi l’hanno trovato e non sono rimasti delusi anche se quel re è bambino, non ha corte, non ha esercito, si scalda al fiato di un bue e di un asinello, non riceve ambasciatori ma poveri pastori; cresce – questo sì – con l’amore di una mamma. Il messaggio è forte: si è fatto piccolo per esserti accanto. “Dov’è il Re dei Giudei?”. Eccolo: fra le mura di casa, nella mia città, nel borgo in cui vivo, nel mio ufficio. Deluso? No, guardo più avanti. Ho fiducia nella sua persona e nella sua promessa. È il Signore. Qualche giorno fa ho letto una pagina sorprendente dal primo libro di Samuele. Il popolo di Israele è reduce da una amara sconfitta per opera dei Filistei (è l’epoca del primo insediamento in Palestina, dopo l’Esodo). Provo ad immaginare l’accampamento di un esercito decimato, stremato dalla fatica, deluso dalla sconfitta. Nel bel mezzo di questa situazione l’accampamento si rianima improvvisamente con l’arrivo dell’Arca dell’Alleanza (credo non ci sia bisogno di spiegarne la sacralità e l’importanza). Si alza un urlo di gioia da far tremare la terra (così assicura il testo sacro). Anche i Filistei, da oltre le trincee, tremano di spavento per quel grido. Ma subito riprendono la battaglia con un sussulto di orgoglio e di sfida. Non te l’aspetteresti… la Bibbia riporta senza pudore la sconfitta di Israele nonostante la presenza dell’Arca nell’accampamento. Neppure nell’arca si deve confidare, ma solo nel Signore. Il messaggio è chiaro ed è il dono che “i fratelli maggiori” ci fanno: conservare la fede, continuare soltanto a credere (cfr. Mc 5,36). È quanto ci hanno testimoniato nel corso dei secoli fino alla Shoah del Novecento, che in questi giorni abbiamo ricordata. Così oggi per noi: il Signore non ci salva dalle prove, ci salva nella prova. C’è una tentazione in agguato: assecondare la spinta identitaria trascurando la certezza della fede. “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4). Con la fede possiamo andare incontro alla novità e alla complessità del momento presente, senza nostalgie. È la via nuova che riparte da Betlemme. Già la nostra attenzione si rivolge alla Quaresima, tempo formidabile di rinnovamento, di accoglienza della misericordia del Signore: ne abbiamo tanto bisogno per sanare la nostra indifferenza, per togliere il nostro peccato, per uscire dalla alienazione esistenziale e per praticare opere di misericordia corporali e spirituali. La Quaresima non contiene unicamente un messaggio indirizzato al singolo, alla necessità della sua conversione e all’ascesi personale, essa esprime un giudizio sul mondo, su quello che papa Francesco chiama “delirio di onnipotenza nel quale risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio – continua papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima – può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza che pretendono di rendere Dio irrilevante e ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare. Lo dimostrano anche le strutture di peccato allegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro che rende indifferenti al destino dei poveri”. Che sia una Quaresima buona! Avremo la visita dei sacerdoti nelle nostre case per la benedizione alla famiglia, un incontro sempre arricchente e affettuoso. Avremo la possibilità di partecipare alle tante iniziative di questo periodo e, con l’aiuto della Lettera pastorale, potremo celebrare in modo rinnovato il sacramento della Riconciliazione, tema della Lettera stessa. Sarà una Quaresima col valore aggiunto della grazia dell’Anno Santo, Giubileo della Misericordia. Un aiuto in più “per ritornare per un’altra strada”.
+ Andrea Turazzi