Santa Maria del Mutino (Aprile 2017)

Madonna in trono col Bambino (Maestà), scultura lignea policroma, h 115 chiesa di Santa Maria del Mutino, Piandimeleto

Le valli del Montefeltro sono terre ricche di storia e di fede. La fede mariana, in particolare, segna come una mappa spirituale tutto il territorio, mescolandosi non di rado ad antiche leggende pagane che il cristianesimo ha assunto e “convertito”. Vorremmo, in queste pagine, ripercorrere tutte o almeno le principali tappe mariane della fede. Una valle boscosa e fertile dell’alta val Foglia prende il nome dal torrentello che la bagna, il Mutino, le sue origini affondano nella leggenda. Per alcuni «Mutino» era una divinità legata alla fertilità, che accompagnava gli sposi nella loro prima notte di nozze. Per altri era un giovane che, bagnandosi un giorno nelle rive dell’Isauro, conobbe una fanciulla bellissima e se ne innamorò. La giovane era dedita alle pratiche magiche e confezionò un filtro sbagliato il quale, dopo averlo assaggiato, la rese brutta e curva come una strega. Vergognosa per quell’aspetto si nascondeva all’amante che andava vagando in cerca di lei. La ragazza, tuttavia, ritrovò se stessa e le sue antiche fattezze grazie a una lacrima. Ella intuì che solo il pentimento la poteva salvare e così confezionò un antidoto usando le sue stesse lacrime. I due si sposarono e chiamarono i figli (i fiumi) con i loro nomi: Mutino e Foglia (Isauro). Tali leggende e miti pagani trovarono spazio e forma nell’avvento del cristianesimo quando, proprio nella valle del Mutino, un gruppo di Benedettini s’insediò ed eresse un’abazia con il suo convento intitolandola a Santa Maria del Mutino. In un gruppo di case, nelle vicinanze dell’abazia, ha trovato i natali il Nunzio Apostolico per l’Italia e San Marino, mons. Adriano Bernardini. In questa valle il richiamo al pentimento risuonò costante per secoli e le lacrime di tanti trovarono udienza e consolazione fra le braccia di un’altra bellissima fanciulla, la Vergine Maria. Nell’abazia di Santa Maria del Mutino, ancora splendida nonostante le ferite del tempo e dell’abbandono, che porta con signorile fierezza i suoi mille anni (il primo insediamento risale al 1016) campeggia, quando non è protetta da un dipinto che la salva da sguardi indiscreti, una statua lignea di notevole fattura. Si tratta di una Maestà, cioè una Madonna in trono che ostende il suo divin figlio a quanti sollevano lo sguardo fino a lei. Ella stessa è trono, essendo teatro dell’Incarnazione, ella è la Theotokos, ovvero la Madre di Dio che conferma a noi, viatori nel tempo, la verità della salvezza: Dio si è fatto carne e la nostra carne, in lui, parteciperà di Dio. Questa Domina solenne e umile a un tempo ha perso, nei secoli, la sua corona e il colore del suo manto, ma non ha perso affatto la sua ieraticità e la sua pace. La Madonna tiene saldo Gesù reggendolo all’altezza delle ginocchia e una delle due mani, la sinistra, pare volerlo difendere da quel destino di croce che lo attende. Il Bimbo indossa una sopravveste blu e un abito rosso entrambe punteggiati di bianco, reca una cintura marrone che scende lunga sul davanti, come la cintura degli agostiniani, simbolo di devozione mariana. Anche la Madonna ha un abito rosso punteggiato di piccoli trifogli, tre palline bianche che rimandano alla Trinità. Il manto, ora color ocra, era un tempo forse dello stesso blu indossato dal bambino. Un dialogo di colori che indicava, allo sguardo semplice ma educato ai simboli degli antichi, come la carne di Cristo fosse carne di Maria e come la divinità del Bambino avesse rivestito la Vergine per farne la Madre di Dio. Madre e Figlio hanno gli occhi spalancati: è lo sguardo dei contemplativi, di quelli che sanno inctus legere la realtà i cuori, le menti e i desideri degli uomini. Occhi spalancati e colmi di serenità che ti fanno sentire accolto e guidato. Al collo, l’artista ha dipinto per entrambe una collana ma mentre quella di Maria è scura, quasi fosse di pietra dura, a significare la sua fortezza. Gesù reca una collana di corallo, simbolo apotropaico che rimanda alla risurrezione e tiene nella mano sinistra il Libro della Rivelazione. La mano benedicente assicura ai fedeli quella vita divina che Egli è venuto ad inaugurare. Oggi questo luogo incantevole non è frequentatissimo e soprattutto non è animato più da quella vita religiosa benedettina che scandiva tempi e momenti sotto il segno dell’ora et labora, tuttavia in alcune circostanze tutto si anima, come all’inizio di giugno quando, per commemorare l’antica unione tra la parrocchia del Mutino e la Parrocchia di Cavoleto, si celebra una curiosa processione. Da Cavoleto una Madonna è portata processionalmente fin dentro l’abazia del Mutino e ivi rimane 3 giorni, in compagnia della Madonna in trono. Fuori il popolo festeggia questa singolare visita nella quale riecheggia l’intrecciarsi del fiume Foglia con il torrente Mutino, una sorta di rivisitazione cristiana dell’antica leggenda di Folìa e Mutino che, cercandosi, s’incontrarono proprio in questa valle.

Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia