Seppellire i defunti (Novembre 2016)

Michael (Michiel) Sweerts, Seppellire i morti (ca. 1650), olio su tela, 74×99 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford, Connecticut, Stati Uniti d’America, Ella Gallup Sumner e Maria Catlin Sumner Collection 1941.

La settima opera di misericordia corporale non rientra nell’elenco delle opere dei giusti fatta dall’evangelista Matteo al cap. 25 del suo Vangelo. Eppure di quest’opera di misericordia parla già Sant’Agostino nel IV sec. seguito, più tardi, da San Benedetto. La radice scritturistica di questa settima opera si trova nel libro di Tobia. Il padre di Tobia, Tobi, certo della risurrezione dei morti, notte tempo, nascostamente dai persecutori assiri, si alzava per dare sepoltura alle vittime della persecuzione. Il libro di Tobia sorge propriamente in difesa della fede nella vita eterna, non da tutti professata. Seppellire i morti assunse così il grande segno della cura del corpo anche oltre la morte onde prepararlo al momento dell’incontro con Dio. Non solo, la sepoltura possiede il compito di custodire la memoria del defunto, delle sue opere e della sua vita santa. Non a caso la parola sepolcro, in greco è resa con mnemeion, cioè luogo della memoria. Un artista fiammingo, Michael Sweerts (1618-1664), a Roma nel 1650 realizza una serie di tele raffiguranti tutte le opere di misericordia, quella dedicata alla sepoltura dei morti sembra far riferimento proprio al libro di Tobia. In un clima notturno, un uomo anziano, in primo piano, sta seppellendo un cadavere con l’aiuto di un giovane. Sullo sfondo si vedono scorci di edifici pagani, e qua e là vari personaggi, due dei quali stanno scavando una fossa. Quella in primo piano, già pronta per la sepoltura, è stata invece preparata dallo stesso Tobi e da suo figlio. L’uomo anziano porta un corpetto nero, indumento tipico di una confraternita cui pare appartenesse lo stesso Sweerts. Sweerts faceva parte della corrente pittorica detta dei Bamboccianti, perché fondata da Pieter van Laer, artista olandese noto come il Bamboccio per il suo aspetto fanciullesco. La pittura dei Bamboccianti privilegiava scene di vita quotidiana narrate con spirito aneddotico che erano dette appunto bambocciate. Sweerts, già fortemente religioso, nel 1660, dopo il soggiorno romano e il rientro in patria (Bruxelles), vivrà una profonda crisi esistenziale che lo porterà ad entrare, come missionario laico, nella Société des Missons Etrangères, sotto la guida di François Pallu, Vescovo di Heliopolis. Partirà due anni dopo alla volta della Cina con altri nove compagni, raggiungendo dapprima la Palestina. Nel corso del difficile viaggio quattro dei suoi compagni morirono, segnando profondamente l’equilibrio psichico di Sweerts. Il gruppo raggiungerà la Persia e lì si fermerà, ma il vescovo a causa dell’irascibilità e degli sbalzi di umore dell’artista sarà costretto a espellerlo dal gruppo dei missionari. Michael, rientrando in patria sosterà a Goa, in India, dove morirà nel 1664. Benché dipinta dieci anni prima questi eventi, la tela della settima opera di misericordia possiede già qualcosa del dramma che colpirà l’artista nel suo viaggio missionario. Egli si identifica con il vecchio Tobi che offre la sepoltura a un morto anonimo. Il modello che servì all’artista per ritrarre il cadavere fu lo stesso usato per il giovane aiutante, Tobia appunto. La forte somiglianza doveva indurre alla riflessione: la vita non ci è assicurata, ma ci è promessa. La morte si affaccia alla porta dell’uomo ad ogni istante e richiede che si stia preparati. Dare sepoltura, non solo ai propri cari, ma anche agli sconosciuti, rimanda fortemente alla vigilanza che ciascuno dovrebbe conservare nella vita. Quello che sorprende nella scena dipinta da Sweerts è la sacralità che si respira. Il copricapo del giovane è più bianco e luminoso del lenzuolo che avvolge il defunto. Non ci è noto infatti, il tenore di vita del defunto, non sappiamo se fosse santo o peccatore, tuttavia è evidente la virtù dell’uomo che compie tale opera di misericordia. Questa infatti, a differenza delle altre, è totalmente gratuita, non potendo l’uomo ricevere per essa nessuna ricompensa. La composizione stessa rimanda alle tante pietà del Salvatore raccontate dall’arte. Insomma la Chiesa ha sempre avuto in somma cura il culto dei morti e, in particolare, il seppellimento dei cadaveri. Uno degli articoli del credo infatti, afferma la risurrezione della carne, perciò stesso il rispetto del corpo, anche dopo la morte è segno di questa fede. La recente possibilità di cremare i nostri defunti è stata accordata per andare incontro ad alcune culture, le quali, pur incontrando la fede cristiana, rimangono ancorate a usanze antichissime, ma rimane fermo il vincolo che la cremazione sia fatta non per vilipendio o disprezzo al corpo del defunto. Senza la sepoltura non avremmo le reliquie di moltissimi santi che hanno, nei secoli, fatto miracoli continui; né avremmo assistito al prodigio dei corpi incorrotti che testimoniano ad ogni generazione la fede nella risurrezione della carne.

* Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia