Vestire gli ignudi e ammonire i peccatori (Febbraio 2016)

Santi Buglioni e Giovanni della Robbia, Vestire gli ignudi e soccorrere vedove e orfanifregio in terracotta policroma invetriata, 1525 ca.

Nudità e peccato sono legati a doppia corda. Fin dalle origini, nel segreto del giardino dell’Eden, dopo il peccato di disobbedienza al Creatore, Adamo ed Eva si accorsero d’essere nudi. La prima opera di misericordia la fece, dunque, Dio stesso cucendo per i progenitori tuniche di pelle al fine di coprire le loro nudità. Allo stesso modo le opere di misericordia (spirituale e corporale) vestire gli ignudi e ammonire i peccatori, sono strettamente legate.
Nel fregio di terracotta invetriata dell’Ospedale Santa Maria del Ceppo a Pistoia, accanto alla scritta «Beati i misericordiosi», campeggia l’opera Vestire gli ignudi. Il curioso nome Santa Maria del Ceppo pare aver origine da un’apparizione della Vergine che volle, in Pistoia, l’edificazione di un ospedale per i bisognosi della città.
La Madonna apparendo ai coniugi Antimo e Bendinella mostrò loro un ceppo fiorito, nonostante fosse inverno, e ingiunse ai due veggenti che ivi avrebbe desiderato l’ospedale. Questa è una delle poche apparizioni mariane concesse a una famiglia ed è straordinario chela Vergine proprio a due sposi chieda di occuparsi dell’umanità ferita dalle prove della vita.
Attorno all’evento nacque una confraternita detta Compagnia di Santa Maria o del Ceppo dei Poveri, la quale iniziò l’edificazione dell’ospedale nel 1277 come risulta da documenti datati dal 1286 in poi. Pare che il nome Ceppo sia dovuto anche al fatto che le prime raccolte di fondi si fecero in un ceppo di castagno, forse lo stesso mostrato ad Antimo e Bendinella.
Quello che allarga le braccia, al centro del rilievo in terracotta raffigurante l’imperativo “vestire gli ignudi”, è però un certosino: Leonardo Buonafede che fu dal 1525 spedalingo del Ceppo. All’inizio della sua presidenza all’ospedale, il Buonafede commissionò il fregio con le opere di misericordia e le virtù a Santi Buglioni il quale, sembra ormai assodato, fu coadiuvato da Giovanni della Robbia. Padre Leonardo porge agli ignudi indumenti azzurri, come il manto della Vergine, quasi ad indicare la volontà di offrire loro, non solo la possibilità di ripararsi dal freddo e di sottrarli alla vergogna, ma anche di rivestirsi di quella grazia che fu della Vergine Maria.
Dall’altro lato il frate certosino offre un sacchetto di denaro ad alcune vedove, che gli si avvicinano recando i loro piccoli, orfani e ignudi. Il comando di vestire gli ignudi era spesso accompagnato da quello più antico di soccorrere gli orfani e le vedove. Tra le vedove e il Buonafede vi sono anche due suore che pure presentano al prelato una “figlia”. Si tratta di una novizia che ha appena vestito l’abito religioso, apprestandosi ad iniziare il percorso che la porterà a prestare servizio con le altre sorelle nell’ospedale.
Le suore in questione erano le Gesuate, presenti fin da quell’epoca in ospedale, ben prima cioè della grande fioritura ottocentesca degli Istituti di vita apostolica femminile e quando ancora per le religiose vigeva indistintamente la clausura più stretta. Esse si occupavano degli assistiti non solo in senso corporale, ma anche e soprattutto in senso spirituale.
Erano queste sorelle a preparare quanti manifestavano i loro bisogni e le loro infermità al pentimento e alla confessione, cosicché essi potessero ricevere, insieme con l’assistenza materiale, anche quella grazia spirituale di cui l’aiuto concreto era segno. Non tutti quelli che bussavano alla porta erano ferventi cristiani, o battezzati, ma non c’era alcun imbarazzo da parte della Confraternita o delle suore di praticare le opere della carità in nome di Cristo, anzi era quella la principale missione ricevuta dalla Madonna del Ceppo.
E, a ben guardare, se una delle due suore si porta la mano al cuore, vedendo la generosa offerta del Buonafede, l’altra si volge verso le vedove in atteggiamento orante invitandole alla preghiera. Forse scandagliare come fosse intesa la misericordia e le sue conseguenti opere da questi nostri antichi fratelli nella fede, fa comprendere quanto ci siamo allontanati dalla vera ragione della carità cristiana. Fare opere di misericordia non significa ridurre le distanze economiche fra le persone o concedere anche ad altri di vestire “firmati” nonostante le poche risorse economiche, ma è operare nel nome di Cristo e regalare agli altri il grande dono della fede. Non dovremmo limitarci a soccorrere gli uomini nelle loro necessità materiali, ma sarebbe anche nostro compito ammonire quelli che sbagliano o che vivono aderendo a false dottrine.
I nostri gesti, dunque, dovrebbero essere ricolmi di quella speranza che viene dall’alto, la stessa che animò Dio Padre il giorno in cui rivestì Adamo ed Eva di pelli. Quel gesto fu promessa di un abito ben più alto: l’abito della grazia che, un giorno, ci donerà il Signore Gesù con la sua passione e risurrezione per accedere anche noi alla vita eterna.
* Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia