Vietato chiudersi!

Il 26 settembre l’avvio del nuovo anno pastorale

Ho tenuto per tre mesi quei diari sulla scrivania senza leggerne una riga. «Non c’è tempo»: una scusa. Rinviando la lettura mi sono privato di una ricchezza sorprendente. Leggendoli, fuori tempo massimo, mi sono reso conto che quei quaderni sono una miniera di idee, di esperienze, di desideri, per una pastorale che vuole rinnovarsi in senso missionario. Erano stati consegnati il 2 febbraio alle comunità religiose come dono e segno della partecipazione al cammino della Diocesi: «Nessuno è ospite. Tutti pellegrini. Tutti famiglia. Tutti protesi a costruire il “noi”, come ci ricorda papa Francesco». Proprio da fratelli e sorelle, consacrati alla vita contemplativa (di per sé è dimensione di tutti, profondamente umana e cristiana), ho raccolto le indicazioni più calzanti, concrete e profonde per il cammino futuro. Ma prima delle indicazioni ho colto quanto questi fratelli e sorelle facciano sul serio e le loro, ben lungi dall’essere dichiarazioni di intenti, siano testimonianza della dinamica della missione e della sorgente pasquale da cui sprigiona. È riduttivo intendere la missione solo come l’attività evangelizzatrice nelle terre dove ancora non è arrivato l’annuncio del Vangelo. Anche se – lo dobbiamo tenere a mente – questa è sicuramente una delle priorità. C’è l’eroicità del grande Francesco Saverio che circumnaviga l’Africa e, dopo un anno di navigazione rocambolesca, intraprende l’evangelizzazione dell’Estremo Oriente e c’è l’eroicità di Teresa che, nel monastero di Lisieux, si consuma per i missionari e si coinvolge nelle loro imprese: l’uno e l’altra, allo stesso modo, patroni delle missioni. Ma la frontiera dell’evangelizzazione passa accanto ai nostri borghi, alle nostre città; attraversa i mondi (cultura, lavoro, educazione, società, famiglia, ecc.) nei quali siamo immersi e carichi di responsabilità. Dico di più, la missione non è una cosa da fare, ma una dimensione intrinseca dell’essere discepoli.
Comprendo meglio la metafora di quel pastore d’Oriente che ha fatto chilometri per rifornirsi di acqua, salvo poi trovarla fresca e abbondante scavando accanto alla sua tenda!
Si è fatta più missionaria la nostra Chiesa? È cresciuta in ciascuno la consapevolezza del mandato missionario? Sono in grado le nostre comunità di scambiarsi “buone pratiche” di annuncio del Vangelo? Si dirà che vi sono altre preoccupazioni preliminari e urgenti, ad esempio la salvaguardia della fede. Eppure – è un’osservazione sulla storia – la Chiesa, anziché ripiegarsi su se stessa, si è slanciata in un abbraccio all’umanità. Un esempio? Nel tormentato post Concilio tridentino ecco lo slancio missionario nelle terre lontane… Nella nostra Diocesi la missione ha preso il nome di apertura di nuove strade di relazione, di fare esercizi di ascolto, di superamento della paura: così riportava il Programma pastorale dello scorso anno: «Essere speranza in un mondo ferito».
Il cammino continua, non finisce con gli obiettivi fissati nello scorso anno. La conversione missionaria è un processo appena avviato, ed è uno stile: prima le persone, l’accoglienza, il servizio. Si tratta di prendere sul serio la persona, l’umanità di oggi; di saper cogliere il bene che è presente; di far sì che questi atteggiamenti diventino scelte condivise e “forma” della nostra pastorale e della nostra spiritualità.
Ecco la linea comune e chiara da tanti auspicata per affrontare le problematiche di oggi, in piena sintonia con il magistero del Papa e dei nostri Vescovi. Avanzare per proprio conto con le personali opinioni non fa progredire; al contrario, talvolta disorienta e scandalizza il popolo di Dio. È normale che, nella dottrina e nella pastorale, in ogni epoca e in ogni cultura, ci siano progressività e complementarietà. Lo Spirito Santo sta parlando alla Chiesa, la sta rimettendo sulle strade in cui camminano gli uomini e le donne di oggi per portare a loro il Vangelo: vietato rinchiudersi! La Chiesa deve saperli incontrare e saperli capire, senza chiusure, ma anche senza reticenze. Ecco la sostanza del cammino che ci sta davanti: forza (sufficientia nostra ex Deo), coraggio (duc in altum), abbraccio (ut unum sint). Avanti a piccoli passi su questi grandi orizzonti.
La sorpresa per il nuovo anno sarà lasciare che lo Spirito Santo attraversi tutto il cammino pastorale: lui è il protagonista e l’anima della vita e della missione della Chiesa.
Giovanni XXIII, aprendo il Concilio Vaticano II, invitava a guardare ad una “nuova Pentecoste”. Paolo VI precisava: una “perenne Pentecoste”. Noi diciamo, sulle basi dell’esegesi, della teologia e dell’esperienza, che la Pentecoste non è solo un evento accaduto 2000 anni fa, quanto uno stato permanente: porte e finestre spalancate…
Nel pomeriggio di domenica 26 settembre, ore 16-18, nella chiesa di Murata (RSM) si celebrerà il rientro dopo questa tormentata estate, verrà conferito il mandato agli operatori pastorali, si rilancerà il Programma per il 2021-22. Si noterà immediatamente il tentativo, speriamo riuscito, di armonizzare il Programma con il cammino sinodale che si sta aprendo nella Chiesa universale e fatto proprio dalla Chiesa che è in Italia. Del resto, è un’armonizzazione facile per la simmetria dei contenuti e plausibile per obiettivi e mete: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». A prima vista sembra un incrocio di strade diverse. Così non è. Preferisco la metafora dell’innesto. L’innesto è qualcosa di vitale, non una sovrastruttura. Per questo prevedo un’esperienza feconda, una stagione piena di frutti!

+ Andrea Turazzi, settembre 2021