Vinci l’indifferenza e conquista la pace (Gennaio 2016)

Il titolo scelto da papa Francesco per il Messaggio del 1° gennaio condensa in poche parole una verità biblica fon- damentale: solo nella lotta alla “non-differenza”, alla chiusura del cuore che non distingue ciò che è bene da ciò che è male, l’uomo raggiunge lo shalom, la pienezza di vita.
Le insegne sotto le quali Francesco inaugura il 2016 sono la misericordia, tema dell’ A nno giubilare, e la speranza, messa al centro del Messaggio per la 49a Giornata Mondiale della Pace e testimoniata con vigore nell’incipit che annuncia: «Dio non è indifferente! A Dio importa dell’ umanità, Dio non l’ abbandona!»: Egli si rivela, nella Sacra Scrittura «fin dagli inizi dell’ umanità, come Colui che si interessa alla sorte dell’uomo».
Nel panorama desolante offerto nel corso del 2015 dalle crude immagini dei militanti dell’ Isis, nell’ atmosfera nichilista di un’ Europa dimentica di Dio, fra gli intrighi di un sistema economico-finanziario globale accecato dal “dio denaro”, il Papa segue e ci invita a seguire l’esempio del profeta Balaam (Santa Marta – meditazione del 14 dicembre): Balaam, “affittato” dal re Balak per profetizzare contro il popolo di Dio, in sella ad un’asina (la cavalcatura dei tempi di pace), «incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore»; «non cambia di partito. Cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede»: per questo l’ Oracolo di Balaam è l’ oracolo dell’ uomo dall’ occhio penetrante. E la sua «è una verità che dà speranza” perché, davanti al deserto, preannuncia «la fecondità, la bellezza, la vittoria» d’Israele.
Con la medesima chiarezza Francesco, nel suo Messaggio del 1° gennaio, indica quale sia l’origine dei mali del nostro tempo: l’indifferenza dell’uomo verso Dio, radice di ogni forma d’indifferenza nei confronti del prossimo e del creato. «Come affermava Benedetto XVI, “senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace”. L’ oblio e la negazione di Dio, che inducono l’ uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a prendere come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza senza misura».
Il Papa ci indica quali sono i tre spazi educativi fondamentali, le tre fonti di luce per la maturazione di un cuore amante, attivo, solidale e responsabile di fronte agli eventi vicini e lontani che minacciano la pace: la famiglia, chiamata «ad una missione educativa primaria ed imprescindibile», costituisce «il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità», è «l’ambito privilegiato per la trasmissione della fede, cominciando da quei primi semplici gesti di devozione che le madri insegnano ai figli»; «gli educatori e i formatori» perché creino, nella scuola e nei gruppi, luoghi di «apertura al trascendente e all’altro»; gli operatori culturali e i mezzi di comunicazione, perché siano coscienti del potere educativo e formativo intrinseco all’ atto del comunicare.
Questa triade, ostacolata da un contesto istituzionale spesso indifferente, unito ad una «cultura improntata al profitto e all’ edonismo», trae forza dall’Assoluto, fonte della capacità di sacrificio, di dono di sé nell’offrire una testimonianza controcorrente. Nell’ Omelia pronunciata presso il Santuario dei Martiri Ugandesi di Namugongo, nel corso del suo viaggio di fine novembre in Africa, il Pontefice ha sot- tolineato che nel Battesimo «abbiamo ricevuto il dono dello Spirito, per diventare figli e figlie di Dio, ma anche per dare testimonianza a Gesù e farlo conoscere e amare in ogni luogo». «Non riceviamo il dono dello Spirito soltanto per noi stessi, ma per edificarci gli uni gli altri nella fede, nella speranza e nell’amore. Penso ai santi Joseph Mkasa e Charles Lwanga, che, dopo essere stati istruiti nella fede dagli altri, hanno voluto trasmettere il dono che avevano ricevuto. Essi lo fecero in tempi pericolosi. Non solo la loro vita fu minacciata ma lo fu anche la vita dei ragazzi più giovani affidati alle loro cure. Poiché essi avevano coltivato la propria fede e avevano accresciuto l’amore per Dio, non ebbero timore di portare Cristo agli altri, persino a costo della vita. La loro fede divenne testimonianza». La vita di ciascuno trova dunque senso e compiutezza solo se il nostro cuore rinasce dall’alto: diversamente, dice Gesù, «non può vedere il Regno di Dio» (Gv 3,3).

Monache dell’Adorazione eucaristica