“Maria si alzò e andò in fretta”
XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù
Abbiamo seguito con commozione il Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Portogallo, in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù. Nell’incontro con le autorità locali, il Pontefice ha esordito dicendo: «Ci troviamo ai confini del mondo perchè questo Paese confina con l’oceano, che delimita i continenti. Lisbona ne porta l’abbraccio e il profumo. Un mare che è molto più di un elemento paesaggistico, è una chiamata impressa nell’animo di ogni portoghese». Ha poi auspicato che «la Giornata Mondiale della Gioventù sia, per il “vecchio continente”, un impulso di apertura universale. Perchè di Europa, di vera Europa, il mondo ha bisogno!». Aggiunge il Papa: «L’oceano, immensa distesa d’acqua, richiama le origini della vita. Nel mondo evoluto di oggi è divenuto paradossalmente prioritario difendere la vita umana, messa a rischio da derive utilitariste, che la usano e la scartano. Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; la Giornata Mondiale della Gioventù è occasione per costruire insieme» (Lisbona, 2 agosto).
Ai consacrati, vescovi e sacerdoti, il Papa ha rivolto parole di esortazione alla speranza: «Fratelli e sorelle, quello che viviamo è certamente un tempo difficile, lo sappiamo, ma il Signore oggi chiede a questa Chiesa: “Vuoi scendere dalla barca e sprofondare nella delusione, oppure farmi salire e permettere che sia ancora una volta la novità della mia Parola a prendere in mano il timone?”. Ecco cosa ci domanda il Signore: di risvegliare l’inquietudine per il Vangelo. Quando ci si abitua e ci si annoia e la missione si trasforma in una specie di “impiego”, è il momento di dare spazio alla seconda chiamata di Gesù, che ci chiama di nuovo, sempre. Non abbiate paura di questa seconda chiamata di Gesù. Non è un’illusione, è Lui che viene a bussare alla porta». Ha poi sottolineato: «Per fidarsi ogni giorno del Signore e della sua Parola, non bastano le parole, occorre tanta preghiera. Solo in adorazione, solo davanti al Signore si ritrovano il gusto e la passione per l’evangelizzazione. La preghiera di adorazione l’abbiamo perduta; e tutti, sacerdoti, vescovi, consacrate, consacrati devono recuperarla» (Vespri, 2 agosto).
Anche ai giovani universitari di Lisbona ha detto: «Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare col fare sosta in qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità. Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto» (Lisbona, 3 agosto).
Arriviamo finalmente ai discorsi rivolti ai giovani radunati per la GMG! Durante la cerimonia di accoglienza il Santo Padre ha subito lanciato la sfida: «Voi non siete qui per caso. Il Signore vi ha chiamati, non solo in questi giorni, ma dall’inizio dei vostri giorni. Sì, Lui vi ha chiamati per nome. E siamo stati chiamati perchè siamo amati». Invita dunque: «Cari giovani, aiutiamoci vicendevolmente a riconoscere questa realtà: siano questi giorni echi vibranti di questa chiamata d’amore di Dio, perchè siamo preziosi agli occhi di Dio, nonostante quello che a volte vedono i nostri occhi. Che questi siano giorni in cui il mio nome, il tuo nome, risuoni come una notizia unica nella storia, perché unico è il palpito di Dio per te. Questo è il punto di partenza della GMG, ma soprattutto il punto di partenza della vita» (Cerimonia di accoglienza, 3 agosto).
Durante la Via Crucis ha messo in luce: «il Verbo si fece uomo e camminò tra noi. E la Croce che accompagna ogni Giornata Mondiale della Gioventù è l’icona, è la figura di questo cammino. Gesù cammina per me, per dare la sua vita per me» (Via Crucis, 4 agosto).
Riprendendo il tema mariano della GMG, nel discorso tenuto a Fatima durante il Rosario con i giovani ammalati, il Papa ha detto: «Il pellegrinaggio è proprio una caratteristica mariana, perchè la prima a fare un pellegrinaggio dopo l’annunciazione di Gesù fu Maria verso la cugina Elisabetta. E Maria ci indica quello che Gesù ci chiede: camminare nella vita collaborando con Lui!» (Veglia, 5 agosto).
«A voi, giovani, Gesù oggi dice: “Non temete!”, “Non abbiate paura!”. Vorrei guardare negli occhi ciascuno di voi e dirvi: non temete, non abbiate paura. È Gesù stesso che vi guarda ora, Lui che vi conosce, conosce il cuore di ognuno di voi. E oggi Lui dice a voi, qui, a Lisbona, in questa Giornata Mondiale della Gioventù: “Non temete, non temete, coraggio, non abbiate paura!” (Santa Messa, 6 agosto).
Termina con «un ringraziamento particolare ai protagonisti principali di questo incontro. Sono stati qui con noi, ma sono sempre con noi: obrigado a Te, Signore Gesù; obrigado a te, Madre nostra Maria” (Angelus, 6 agosto).
Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, settembre 2023
Santità e zelo apostolico
I santi ci insegnano la missione
Ripercorriamo le ultime udienze papali, incentrate sul tema dell’evangelizzazione, in cui il Santo Padre ha proposto esempi di Santi che hanno vissuto lo zelo apostolico in modo esemplare. Anzitutto san Francesco Saverio, patrono delle missioni. Egli, nato in Spagna del 1506, «va a studiare a Parigi e lì incontra Ignazio di Loyola. Si fa gesuita, poi diventa sacerdote, e va a evangelizzare, inviato in Oriente. Arrivato a Goa, in India, durante una preghiera notturna presso la tomba dell’apostolo san Bartolomeo, sente di dover andare oltre. Salpa dunque per le Molucche, le isole più lontane dell’arcipelago indonesiano. Qui mette in versi il catechismo nella lingua locale e insegna il catechismo cantandolo. Si dirige poi in Giappone e da lì – dopo tre anni durissimi per il clima, le opposizioni e l’ignoranza della lingua – decide di andare in Cina. Ma il suo disegno fallisce: egli muore alle porte della Cina, sulla piccola isola di Sancian, aspettando invano di poter sbarcare sulla terraferma. Il 3 dicembre 1552, muore in totale abbandono, solo un cinese è accanto a lui a vegliarlo. La sua attività intensissima è stata sempre unita alla preghiera, all’unione con Dio. Non lasciò la preghiera mai, perché sapeva che lì c’era la forza. L’amore di Cristo è stato la forza che lo ha spinto sino ai confini più lontani, con fatiche e pericoli continui, superando insuccessi, delusioni e scoraggiamenti, anzi, dandogli consolazione e gioia nel seguirlo e servirlo fino alla fine» (Udienza generale, 17 maggio).
Il Papa ha presentato poi la figura di sant’Andrea Ki Tae-gon, «martire e primo sacerdote coreano, anche se l’evangelizzazione della Corea è stata fatta dai laici». Infatti, «stante il contesto fortemente intimidatorio, il Santo era costretto ad accostare i cristiani in una forma non manifesta, ponendo di nascosto la domanda: “Tu sei discepolo di Gesù?”. Per Andrea Kim era questa l’espressione che riassumeva tutta l’identità del cristiano» (Udienza generale, 24 maggio).
Guardiamo poi al venerabile Matteo Ricci, anch’egli Gesuita. Uomo di grande scienza e cultura, riuscì ad entrare in Cina, «seguendo sempre la via del dialogo e dell’amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l’annuncio della fede cristiana». Allo stesso tempo, «la credibilità ottenuta con il dialogo scientifico gli dava autorevolezza per proporre la verità della fede e della morale cristiana» (Udienza generale, 31 maggio)
Il Santo Padre ci presenta infine santa Teresa di Gesù Bambino, anch’essa patrona delle missioni. «Nacque 150 anni fa. Era una monaca carmelitana e la sua vita fu all’insegna della piccolezza e della debolezza: lei stessa si definiva “un piccolo granello di sabbia”. Di salute cagionevole, morì a soli 24 anni. Ma se il suo corpo era infermo, il suo cuore era vibrante, era missionario. Nel suo “diario” racconta che essere missionaria era il suo desiderio e che voleva esserlo non solo per qualche anno, ma per tutta la vita, anzi fino alla fine del mondo. Teresa fu “sorella spirituale” di diversi missionari. Senza apparire intercedeva per le missioni, come un motore che, nascosto, dà a un veicolo la forza per andare avanti. Tuttavia dalle sorelle monache spesso non fu capita: ebbe da loro “più spine che rose”, ma accettò tutto con amore, con pazienza, offrendo, insieme alla malattia, anche i giudizi e le incomprensioni. E lo fece con gioia, lo fece per i bisogni della Chiesa, perché, come diceva, fossero sparse “rose su tutti”, soprattutto sui più lontani. Ecco – sottolinea il Papa – il motore della missione. Missionario infatti è chiunque vive, dove si trova, come strumento dell’amore di Dio; è chi fa di tutto perché, attraverso la sua testimonianza, la sua preghiera, la sua intercessione, Gesù passi. Alla Chiesa, prima di tanti mezzi, metodi e strutture, che a volte distolgono dall’essenziale, occorrono cuori come quello di Teresa, cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio» (Udienza generale, 7 giugno).
Ricordiamo infine che il 23 luglio si svolgerà la Giornata dei nonni, desiderata fortemente dal Santo Padre. Quest’anno coincide quasi con l’inizio della Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona. «Entrambe avranno come tema la “fretta” di Maria nel visitare Elisabetta. Lo Spirito Santo – sottolinea il Papa – benedice e accompagna ogni fecondo incontro tra generazioni diverse. Il cammino di Maria e l’accoglienza di Elisabetta aprono infatti le porte al manifestarsi della salvezza: attraverso il loro abbraccio la sua misericordia irrompe con gioiosa mitezza nella storia umana. A voi anziani – esorta il Santo Padre – chiedo di accompagnare con la preghiera i giovani che stanno per celebrare la GMG. Quei ragazzi sono la risposta di Dio alle vostre richieste, il frutto di quel che avete seminato, il segno che Dio non abbandona il suo popolo, ma sempre lo ringiovanisce con la fantasia dello Spirito Santo» (III Giornata Mondiale dei nonni).
Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, luglio-agosto 2023
Dio ha bisogno di te!
Viaggio apostolico in Ungheria
In occasione della 60a giornata di preghiera per le vocazioni, il Santo Padre ci invita a riscoprire la vocazione come «l’intreccio tra scelta divina e libertà umana», un rapporto dinamico e stimolante che ha per interlocutori Dio e il cuore umano». «Ognuno di noi – sottolinea il Papa – nessuno escluso, può dire: Io sono una missione su questa terra. Quest’azione missionaria non nasce semplicemente dalle nostre capacità, intenzioni o progetti, né dalla nostra volontà e neppure dal nostro sforzo di praticare le virtù, ma da una profonda esperienza con Gesù. Solo allora possiamo diventare testimoni di Qualcuno, di una Vita, e questo ci rende “apostoli”» (Messaggio per la 60a giornata mondiale vocazionale, 30 aprile).
Pellegrino in Ungheria, ha esortato i giovani: «Non spaventatevi delle vostre miserie. Il Signore non fa grandi cose con persone straordinarie, ma con persone vere! Amici – incalza il Papa – ciascuno di voi è prezioso per Gesù, e anche per me! Ricordati che nessuno può prendere il tuo posto nella storia del mondo, nella storia della Chiesa, nessuno può fare quello che solo tu puoi fare» (Budapest, 29 aprile).
Ai vescovi e religiosi presenti a Budapest ha poi sottolineato: «La nostra vita, per quanto segnata dalla fragilità, è saldamente posta nelle mani di Cristo risorto». Dunque «tornate a Cristo, che è il futuro, per non cadere nei venti cangianti della mondanità, che è il peggio che può accadere alla Chiesa: una Chiesa mondana». «Contro il disfattismo catastrofico e il conformismo mondano il Vangelo ci dona occhi nuovi, ci dona la grazia del discernimento per entrare nel nostro tempo con un atteggiamento accogliente, ma anche con uno spirito di profezia». In questa situazione – esorta il Papa – «pastori e laici si sentano corresponsabili: anzitutto nella preghiera, perchè le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer. Immergiamoci nello spirito del Vangelo, radichiamoci nella preghiera, specialmente nell’adorazione e nell’ascolto della Parola di Dio, coltiviamo la formazione permanente, la fraternità, la vicinanza e l’attenzione agli altri. Un grande tesoro ci è stato messo nelle mani, non sprechiamolo inseguendo realtà secondarie rispetto al Vangelo!» (Budapest, 28 aprile).
Nel discorso alle autorità ungheresi, pensando ai ponti che collegano le due parti della città di Budapest, ha rivolto parole a tutta la realtà europea: «Penso dunque a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. È questa la via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta. Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia». Ricorda dunque Santo Stefano, primo re d’Ungheria, il quale «lasciava al figlio straordinarie parole di fraternità. Scriveva infatti: “un paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove”» (28 aprile).
Il Papa ha desiderato infine «far memoria del Cardinale Mindszenty, il quale credeva nella potenza della preghiera, al punto che ancora oggi, quasi come un detto popolare, si ripete: “Se ci saranno un milione di ungheresi in preghiera, non avrò paura del futuro”». Invita dunque: «Siate accoglienti, siate testimoni della profezia del Vangelo, ma soprattutto siate donne e uomini di preghiera, perchè la storia e il futuro dipendono da questo. E andate avanti con gioia!» (Ai Vescovi, 28 aprile).
Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, giugno 2023
Ricorda e cammina!
Appuntamento in Galilea
«La notte sta per finire e si accendono le prime luci dell’alba, quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù. Avanzano incerte, smarrite, con il cuore lacerato dal dolore per quella morte che ha portato via l’Amato. Ma, giungendo presso quel luogo e vedendo la tomba vuota, invertono la rotta, cambiano strada; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto e li attende in Galilea. L’appuntamento col Risorto è lì. La rinascita dei discepoli, la risurrezione del loro cuore passa dalla Galilea. Ma, fratelli e sorelle, ci domandiamo oggi: che cosa significa andare in Galilea? Significa ritornare alle origini, perché proprio in Galilea tutto era iniziato. Dunque andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza. Là dov’è iniziata la nostra storia d’amore con Gesù, dove è stata la prima chiamata. Per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, abbiamo sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, alla memoria concreta e palpitante del primo incontro con Lui. Sì, per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. E questo è l’invito: ricorda e cammina!» (Veglia Pasquale, 8 aprile).
«Non siamo soli: Gesù, il Vivente, è con noi per sempre. Cristo è risorto, è veramente risorto, come si proclama nelle Chiese di Oriente: Christòs anesti! Quel “veramente” ci dice che la speranza non è un’illusione, è verità!» (Messaggio Pasquale Urbi et orbi, 9 aprile).
«Le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (Mt 28,8). La donna è dare vita, aprire strade, chiamare altri…per camminare insieme». Per questo – ricorda il Papa – «è necessario che ci lasciamo educare dallo Spirito a una mentalità veramente sinodale». Ma attenzione! «A volte – confida il Santo Padre – mi viene un po’ di paura quando parliamo di spirito sinodale e subito si pensa: “Adesso devono cambiare questo, questo, questo…” No, questo non è cammino sinodale. Questo è “parlamento”. Il cammino in spirito sinodale è ascoltare, pregare e camminare. Poi, il Signore ci dirà le cose che dobbiamo fare» (Discorso all’USMI, 13 aprile).
Così potremmo diventare veramente seminatori di speranza. «L’incontro con Gesù, infatti, riempie di speranza e questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità». E rivolgendosi ancora alle religiose presenti all’Assemblea generale dell’USMI esorta: «Rimanete fedeli alla chiamata perché il Signore è fedele. E state attente alla malattia dell’amarezza. Quello spirito di acidità dentro. Amaro. Sempre guardando le difficoltà, sempre ripetendo che le cose non vanno… Ma l’amarezza è il liquore del diavolo: il diavolo ci cucina dentro. Non parlo dell’ottimismo: l’ottimismo è una cosa psicologica. Parlo di speranza, di apertura allo Spirito. Aiutate a uscire dalla situazione le persone malinconiche che sempre pensano: “Ah i tempi andati erano meglio! Le cose non vanno, e qui e là…”. Questo è l’elisir del diavolo» (13 aprile).
Guardiamo all’incredulità di Tommaso. Questi «rappresenta un po’ tutti noi. Infatti, dopo una grande delusione è difficile credere. Ha seguito Gesù per anni, correndo rischi e sopportando disagi, ma il Maestro è morto e tutti hanno paura. Come fidarsi ancora? Per credere, Tommaso vorrebbe un segno straordinario: toccare le piaghe. Gesù gliele mostra, ma in modo ordinario, venendo davanti a tutti, nella comunità, non fuori. Come a dirgli: “se tu vuoi incontrarmi non cercare lontano, resta nella comunità. È lì che potrai trovarmi, è lì che ti mostrerò, impressi nel mio corpo, i segni delle piaghe. È lì, nella comunità, che scoprirai il mio volto”. Nonostante tutti i suoi limiti e le sue cadute, che sono i nostri limiti e le nostre cadute, la nostra Madre Chiesa è il Corpo di Cristo; ed è lì, nel Corpo di Cristo, che si trovano impressi, ancora e per sempre, i segni più grandi del suo amore» (Regina Cæli, 16 aprile).
Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, maggio 2023
Alla luce della Pasqua
Chiesa in cammino sinodale
Continua il percorso sinodale della Chiesa, nel quale il Santo Padre ci accompagna anche attraverso le catechesi settimanali incentrate sulla passione per l’evangelizzazione. Invita il Papa: «ripartiamo dalle parole di Gesù: Andate – dice il Risorto –, non a indottrinare non a fare proseliti ma a fare discepoli, cioè a dare ad ognuno la possibilità di entrare in contatto con Gesù, di conoscerlo e amarlo liberamente. Andate battezzando: battezzare significa immergere la propria vita nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo; provare ogni giorno la gioia della presenza di Dio che ci è vicino come Padre, come Fratello, come Spirito che agisce in noi, nel nostro stesso spirito. Battezzare è immergersi nella Trinità. E quando Gesù dice ai suoi discepoli – e anche a noi –: “Andate!”, non comunica solo una parola bensì lo Spirito Santo. Lo scopriamo negli Atti degli Apostoli, dove ad ogni pagina si vede che il protagonista dell’annuncio è lo Spirito Santo. Gli Apostoli, insieme, senza dividersi, nonostante avessero sensibilità e pareri diversi, si pongono in ascolto dello Spirito» (Udienza generale, 22 febbraio).
«Pericolosa è la tentazione di seguire più facili vie pseudo-ecclesiali, di adottare la logica mondana dei numeri e dei sondaggi, di contare sulla forza delle nostre idee, dei programmi, delle strutture, delle “relazioni che contano”. Questo non va, questo deve aiutare un po’ ma fondamentale è la forza che lo Spirito ti dà per annunciare la verità di Gesù Cristo, per annunciare il Vangelo. Le altre cose sono secondarie» (Udienza generale, 8 marzo).
Come ci ricorda il Concilio Vaticano II: «È necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, Egli uscì vincitore» (Ad gentes, 5).
E come nel primo Concilio di Gerusalemme, la decisione riguardo all’apertura ai non circoncisi fu mossa dal principio dell’annuncio, così «nel XX secolo, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha presentato la Chiesa come Popolo di Dio pellegrino nel tempo e per sua natura missionario». Questo significa che «c’è come un ponte tra il primo e l’ultimo Concilio, nel segno dell’evangelizzazione, un ponte il cui architetto è lo Spirito Santo» (8 marzo).
In occasione del discorso alla comunità del “St. Mary seminary” della Diocesi di Cleveland, il Santo Padre ha indicato «tre caratteristiche del processo sinodale che sono anche essenziali per la formazione dei futuri sacerdoti. Anzitutto l’ascolto, soprattutto del Signore, trascorrendo del tempo con Lui in preghiera, ascoltandolo in silenzio davanti al Tabernacolo. Il camminare insieme, per approfondire lo spirito di comunione fraterna. Infine la testimonianza, diventare segni vivi di Gesù presente nel mondo». Conclude il Papa: «Possano gli anni trascorsi in seminario prepararvi a donarvi completamente a Dio e al suo Popolo santo, nell’amore celibatario e con cuore indiviso» (Sala Clementina, 6 marzo).
Il Santo Padre ha poi incontrato il comitato di redazione del programma televisivo “A Sua Immagine”. «Queste parole – sottolinea il Pontefice – ci rimandano all’inizio della Bibbia, al Libro della Genesi, dove al culmine della creazione Dio dice: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). Siamo creati “a immagine” di Dio! In ciascun essere umano Dio ha acceso, in modo unico, una scintilla della sua luce». Per questo – esorta il Papa – «Custodite lo stupore di questa Parola, per poterlo comunicare. Il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo ci testimonia di fatto la perdita, da parte di tante persone, proprio della coscienza di essere figli di Dio, creati “a sua immagine”. C’è bisogno di ravvivarla. Perchè lì, in questa “immagine”, si trovano l’origine e il fondamento dell’irriducibile dignità umana» (Sala del Concistoro, 4 marzo).
Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, aprile 2023