Vita della Chiesa

La forza della preghiera

Viaggio apostolico in Congo e Sud Sudan

Il Santo Padre si è recato come «pellegrino di pace» nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. «Vengo come pellegrino di riconciliazione – ha segnalato – con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Insieme ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace» (Sud Sudan, 3 febbraio).
«Il Risorto parla ai suoi e dice loro: “Pace a voi!”. È più che un saluto: è una consegna. Gesù proclama la pace mentre nel cuore dei discepoli ci sono le macerie, annuncia la vita mentre loro sentono dentro la morte. In altre parole, la pace di Gesù arriva nel momento in cui tutto per loro sembrava finito. Ma, possiamo chiederci, come custodire e coltivare la pace di Gesù? Egli stesso ci indica tre sorgenti, tre fonti per continuare ad alimentarla: il perdono, la comunità e la missione». Esorta dunque: «Diamo a Cristo la possibilità di risanarci il cuore, gettiamo in Lui il passato, ogni paura e affanno!» (Congo, Santa Messa, 1° febbraio).
Nell’incontro con i giovani li invita: «Aprite i palmi delle mani, fissateli con gli occhi. Le tue mani ti sembrano piccole e deboli, vuote e inadatte per compiti così grandi? Vorrei farti notare una cosa: tutte le mani sono simili, ma nessuna è uguale all’altra; nessuno ha mani uguali alle tue, perciò tu sei una ricchezza unica, irripetibile e incomparabile. Nessuno nella storia può sostituirti. Chiediti allora: a che cosa servono queste mie mani? A costruire o a distruggere, a donare o ad accaparrare, ad amare o ad odiare?». «Ma come fare concretamente? Vorrei suggerirvi alcuni “ingredienti per il futuro”: cinque, che potete associare proprio alle dita di una mano. Al pollice, il dito più vicino al cuore, corrisponde la preghiera, che fa pulsare la vita perché è “l’acqua dell’anima”: è umile, non si vede, ma dà vita. L’indice corrisponde alla comunità: appartieni a una storia più grande, che ti chiama a essere protagonista! Il medio, che si eleva al di sopra degli altri, è l’onestà! L’anulare, dove si mettono le fedi nuziali, è anche il dito più debole, quello che fa più fatica ad alzarsi». Indica perciò «il perdono. Perchè perdonare vuol dire saper ricominciare. L’ultimo dito, il più piccolo, indica il servizio. Chi serve si fa piccolo. Come un minuscolo seme, sembra sparire nella terra e invece porta frutto» (Kinshasa, 2 febbraio).
Come il sale: ne basta un pizzico che si scioglie per dare un sapore diverso all’insieme. Allora non possiamo tirarci indietro, perchè senza quel poco, senza il nostro poco, tutto perde gusto. A noi è dunque chiesto di ardere d’amore!» (Sud Sudan, Santa Messa, 5 febbraio).
Esorta infine i giovani Congolesi: «Il vostro Paese torni a essere, grazie a voi, un giardino fraterno, il cuore di pace e di libertà dell’Africa!» (2 febbraio).
Nella giornata della Presentazione al Tempio, detta in Oriente «giornata dell’incontro», il Santo Padre ha ricordato con affetto e gratitudine tutti i consacrati, esortando a non dimenticare «la priorità della nostra vita: l’incontro con il Signore, specialmente nella preghiera personale, perché la relazione con Lui è il fondamento del nostro operare». «Senza preghiera – ha sentenziato – non si va lontano!» (Kinshasa, 2 febbraio).
Il Papa ricorda infine la preghiera per Turchia e Siria, colpite dal terremoto, per il martoriato popolo ucraino e per Mons. Rolando Álvares, vescovo in Nicaragua condannato a ventisei anni di carcere. «Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo» (Angelus, 12 febbraio).

Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, marzo 2023

Maria, chiave della speranza

Ricordando Benedetto

«Santa Madre di Dio! È l’acclamazione gioiosa del Popolo santo di Dio, che risuonava per le strade di Efeso nell’anno 431, quando i Padri del Concilio proclamarono Maria Madre di Dio. Si tratta di un dato essenziale della fede, ma soprattutto di una notizia bellissima: Dio ha una Madre e dunque si è legato per sempre alla nostra umanità, come un figlio alla mamma, amandoci proprio dal di dentro della nostra carne, perché in Maria il Verbo si è fatto carne: è una verità dirompente e consolante. L’anno, che si apre nel segno della Madre di Dio e nostra, ci dice dunque che la chiave della speranza è Maria» (Santa Messa, 1° gennaio).
Così, all’insegna della preghiera per «l’amato Papa emerito Benedetto XVI», si apre questo nuovo anno sotto la protezione della Santa Madre di Dio. E non ha perso occasione il Santo Padre di citare le parole che hanno segnato il grande Pontificato di Benedetto XVI. Come messo in luce dell’omelia della Messa Esequiale, egli, come Gesù, «si lasciò cesellare dalla volontà di Dio, prendendo sulle spalle tutte le conseguenze e le difficoltà del Vangelo», conscio, come disse lui stesso, che «pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza» (Omelia di inizio pontificato, 24 aprile 2005).
Così, continua Papa Francesco, «il Signore va generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e scommettere al di là delle incomprensioni che ciò può suscitare. Fecondità invisibile e inafferrabile, che nasce dal sapere in quali mani si è posta la fiducia. Fiducia orante e adoratrice, capace di interpretare le azioni del pastore e adattare il suo cuore e le sue decisioni ai tempi di Dio. Testimonianza feconda di coloro che, come Maria, rimangono in molti modi ai piedi della croce, in quella pace dolorosa ma robusta che non aggredisce né assoggetta; e nella speranza ostinata ma paziente che il Signore compirà la sua promessa». «Benedetto – conclude il Papa -, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!» (Santa Messa, 5 gennaio).
Narrando poi il cammino dei Magi, il Santo Padre ci ha guidati a comprendere come «il primo “luogo” in cui Dio ama essere cercato sia l’inquietudine delle domande». Come i Magi che, «abitati da una struggente nostalgia di infinito, scrutano il cielo e si lasciano stupire dal fulgore di una stella». «Il secondo luogo in cui possiamo incontrare il Signore è il rischio del cammino». Ci invita anche qui a tornare alle parole di Benedetto XVI: «Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino» (Omelia, 6 gennaio 2013). «Il terzo luogo poi in cui incontrare il Signore è lo stupore dell’adorazione. Questo è il punto decisivo: tutto nasce e tutto culmina lì, perché il fine di ogni cosa è incontrare Dio e lasciarsi abbracciare dal suo amore» (Santa Messa, 6 gennaio).
Il Pontefice cita nuovamente Papa Benedetto parlando del Battesimo del Signore: «Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all’abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto» (Omelia, 13 gennaio 2008).
Con l’inizio del nuovo ciclo di catechesi sull’evangelizzazione, il Santo Padre ha sottolineato come essa costituisca «una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica. Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica» (Udienza generale, 11 gennaio).
Cita infine Papa Benedetto: «la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione» (Omelia, 13 maggio 2007).

Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, febbraio 2023

Natale: profezia di pace

Lettera al popolo Ucraino

Il 25 novembre il Santo Padre ha indirizzato una commovente lettera al popolo ucraino, a nove mesi dallo scoppio della guerra che sta lacerando l’Europa. Così si è espresso il Pontefice: «Sulla vostra terra, da nove mesi, si è scatenata l’assurda follia della guerra. Le vostre città sono martellate dalle bombe mentre piogge di missili provocano morte, distruzione e dolore, fame, sete e freddo. Io vorrei unire le mie lacrime alle vostre e dirvi che non c’è giorno in cui non vi sia vicino e non vi porti nel mio cuore e nella mia preghiera. Il vostro dolore è il mio dolore. Nella croce di Gesù oggi vedo voi, voi che soffrite il terrore scatenato da questa aggressione. Quanti bambini uccisi, feriti o rimasti orfani… in ciascuno di loro è sconfitta l’umanità intera. Ora essi sono nel grembo di Dio, vedono i vostri affanni e pregano perchè abbiano fine. Ma come non provare angoscia per loro e per quanti, piccoli e grandi, sono stati deportati? Cari fratelli e sorelle – continua il Papa – in tutto questo mare di male e di dolore – a novant’anni dal terribile genocidio dell’Holodomor –, sono ammirato del vostro buon ardore.
In questi mesi, nei quali la rigidità del clima rende quello che vivete ancora più tragico, vorrei che l’affetto della Chiesa, la forza della preghiera, il bene che vi vogliono tantissimi fratelli e sorelle ad ogni latitudine siano carezze sul vostro volto. Vorrei tornare con voi a Betlemme, alla prova che la Sacra Famiglia dovette affrontare in quella notte, che sembrava solo fredda e buia. Invece, la luce arrivò: non dagli uomini, ma da Dio; non dalla terra, ma dal Cielo. La Madre sua e nostra, la Madonna, vegli su di voi. Al suo Cuore Immacolato presento le vostre sofferenze e le vostre lacrime. A lei non stanchiamoci di chiedere il dono sospirato della pace, nella certezza che «nulla è impossibile a Dio» (Roma, 25 novembre).
«Siamo partiti dall’esempio di Sant’Ignazio di Loyola; abbiamo poi considerato gli elementi del discernimento – cioè la preghiera, il conoscere se stessi, il desiderio e il “libro della vita” –; ci siamo soffermati sulla desolazione e la consolazione e siamo giunti alla conferma della scelta fatta» (Udienza generale, 14 dicembre). Essa comunica una pace che dura nel tempo, in quanto la vita spirituale è circolare: la bontà di una scelta è di giovamento a tutti gli ambiti della nostra vita. Perchè è partecipazione alla creatività di Dio» (Udienza generale, 7 dicembre).
Conclude poi con un “nota bene”: la vigilanza. «Vigilare per custodire il nostro cuore. Se manca la vigilanza, è molto forte, il rischio che tutto vada perduto». Di fatto, «quando confidiamo troppo in noi stessi e non nella grazia di Dio, allora il Maligno trova la porta aperta» mentre «la vigilanza è segno di saggezza, è segno soprattutto di umiltà, via maestra della vita cristiana» (14 dicembre).
Arriviamo infine alle figure che ci hanno accompagnato nel cammino di Avvento. Anzitutto Giovanni Battista, il quale ci invita a «tornare a Dio», togliendoci «le nostre maschere e mettendoci in coda per accogliere il perdono di Dio» (Angelus, 4 dicembre).
Guardiamo poi a san Giuseppe. Esso ci aiuta ad abitare le crisi della vita nella certezza che «Dio apre le crisi a prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo. E questi sono – afferma il Papa – gli orizzonti di Dio: sorprendenti, ma infinitamente più ampi e belli dei nostri!» (Angelus, 18 dicembre).
Fissiamo infine lo sguardo su Maria, la piena di Grazia eppure umile serva del Signore, che ci insegna a «custodire la nostra bellezza», frutto di quella «grazia originaria» ricevuta col Battesimo. «Affidiamoci dunque a Maria ogni giorno, ripetendole: “Maria, ti affido la mia vita, la mia famiglia, il mio lavoro, ti affido il mio cuore e le mie lotte. Mi consacro a te”. L’Immacolata ci aiuti a custodire dal male la nostra bellezza» (Angelus, 8 dicembre).

Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, gennaio 2023

Verso un nuovo “assetto pastorale”

Non una sottrazione, ma un arricchimento

Nei mesi scorsi alcune comunità hanno vissuto l’avvicendamento del parroco. Si tratta di un vero e proprio “terremoto”, che scuote la vita di tante persone e della comunità nel suo insieme. «Non si va a Messa per simpatia per quel sacerdote o per l’altro, o per altre ragioni troppo umane… si va per il Signore!», ripete sovente il Vescovo Andrea. «Il sacerdote è un aiuto, un fratello che il Signore mette sul vostro cammino, con la sua umanità, le sue qualità… i suoi limiti, come tutti». In alcuni casi si è trattato anche di un nuovo “assetto pastorale” tra parrocchie vicine. «Il Signore chiede a tutti noi – spiega il Vescovo – di fare un passo, uno sforzo di comprensione e operativo: diventare unità pastorale». Mons. Vescovo prende in considerazione i fattori che stanno portando alla scelta del nuovo assetto: sicuramente il calo della popolazione e il calo numerico dei sacerdoti, ma queste difficoltà si stanno rivelando essere anche una preziosa occasione per una riscoperta: «Non sarà per caso – domanda mons. Andrea – che il Signore stia dicendo alla Chiesa che è un po’ troppo clericale, che le comunità non devono essere fondate esclusivamente sui preti?». «Ogni battezzato – assicura – deve essere apostolo: bisogna far “funzionare” il Battesimo!». Nell’unità pastorale «ogni parrocchia mantiene la sua identità, la sua storia, le sue tradizioni, ma si uniscono le forze: da una parte i sacerdoti fanno famiglia tra loro e dall’altra i laici diventano sempre più corresponsabili». Un tempo i laici venivano incaricati come “delegati del parroco” (quasi “supplenti”); poi si è iniziato a considerarli come “collaboratori” e oggi sono “corresponsabili”, «una parola più esplicita, più coinvolgente – commenta –, ognuno con la propria vocazione, il proprio carisma». Non si tratta, dunque, «di una sottrazione, non dobbiamo dire: “Ci tolgono la parrocchia, come ci hanno tolto le scuole, la farmacia, ecc.”. Invece, dobbiamo pensare che uniamo le forze per affrontare la grande sfida dell’evangelizzazione» (Incontro con il Consiglio Pastorale Parrocchiale, Mercatino Conca, 4.10.2022).
Mons. Andrea chiede a laici e a presbiteri «apertura di cuore e di mente per impegnarsi con viva corresponsabilità», superando «gli attaccamenti alle proprie abitudini e i campanilismi». La parola “apertura” va considerata in tre significati. «Apertura reale e sincera a ciò che lo Spirito Santo vuol dire oggi alla Chiesa», nello spirito del Cammino Sinodale che quest’anno, nelle Diocesi, vive la sua seconda fase. Poi, «apertura delle realtà ecclesiali le une verso le altre e ciascuna verso l’intera Chiesa, sotto la guida del Pietro di oggi, che è il Santo Padre papa Francesco». Infine, «apertura a nuove forme di ministerialità che riguardano i fratelli, gli uomini, e le sorelle, le donne» (Discorso nel conferimento della cura pastorale dell’unità pastorale di Novafeltria a don Simone Tintoni e a don Jean-Florent Angolafale, Novafeltria, 30.10.2022).
Rivolgendosi ai presbiteri mons. Vescovo mette in evidenza «il valore aggiunto che è la fraternità sacerdotale». Egli vede nella fraternità sacerdotale anzitutto «un segno dei tempi, una profezia, una parola da parte di Dio». I co-parroci dell’unità pastorale sono uomini che, «in una società sempre più individualista, segnata dalle divisioni e dall’arrivismo, si uniscono per servire, per mettere in comune i loro talenti e per completarsi, armonizzandosi». Inoltre, la fraternità sacerdotale «farà bene al popolo di Dio; le comunità saranno invogliate dalla testimonianza dei loro preti ad essere collaborative, specialmente per quanto riguarda il catechismo dell’iniziazione cristiana, la pastorale giovanile, la pastorale familiare, la testimonianza della carità». Poi, la fraternità sacerdotale «farà bene ai sacerdoti, li aiuterà a vivere l’amore reciproco, vincolo di perfezione, molla invincibile per l’evangelizzazione: «Uniti perché il mondo creda» (Gv 17,21). Il Vescovo si sofferma ad approfondire la vocazione del presbitero al celibato. «Chi l’ha detto che la scelta del celibato è una rinuncia ad amare e una rinuncia ad ogni forma di famiglia?». «Il celibato – commenta – è per una libertà più grande nell’amore fraterno». «Ho parlato consapevolmente di fraternità e non di amicizia, che è pur sempre un sentimento nobilissimo. Amici ci si sceglie, fratelli si viene affidati gli uni agli altri». (Discorso nel conferimento della cura pastorale dell’unità pastorale di Pennabilli a don Mirco Cesarini, don Emilio Contreras e don Rousbell Parrado, Pennabilli, 1.11.2022).
Venerdì 18 novembre la Diocesi si è radunata attorno al Vescovo per la II Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi. «È un tema pesante – confida mons. Andrea – che provoca mille sentimenti dentro di noi». Poi, mette in guardia la comunità cristiana dal «rischio di chiudersi in una posizione di autodifesa» oppure dal «cadere nella tentazione di parlare o pensare a situazioni o persone in modo non appropriato», perché «succede di sentirsi traditi, confusi, feriti, arrabbiati…». Il Vescovo invita a «mettersi accanto a chi ha sofferto e soffre per le profonde ferite che gli sono state inferte», a «mettersi nei loro panni», affinché la preghiera diventi «una preghiera solidale, di riparazione e di speranza: una preghiera cristiana». Durante la veglia ognuno ha acceso una candela al cero pasquale e l’ha deposta ai piedi della croce. Un gesto simbolico per affermare la decisione di seguire Gesù che «ha assunto tutto il negativo, consumando tutto in sé nell’amore, e così trasformando tutto in amore». Mons. Andrea conclude la Veglia auspicando che «la preghiera – lungi dall’essere un comodo rifugio o un artificio consolatorio – aiuti a dare un nome ai tanti dolori e a guardarli con verità e maturità, a partire da quelli legati agli abusi sessuali, ma non solo» (Veglia di preghiera per le vittime di abusi, Valdragone RSM, 18.11.2022).

Paola Galvani, dicembre 2022

Guidati dal Papa sui sentieri della pace

Viaggio apostolico in Bahrein

«Quest’anno – ha dichiarato il Papa in occasione dell’Incontro di preghiera per la pace con i leader delle religioni mondiali – la nostra preghiera è diventata un “grido”, perché oggi la pace è gravemente violata, ferita, calpestata: e questo in Europa, cioè nel continente che, nel secolo scorso, ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali – e siamo nella terza. Purtroppo, da allora, le guerre non hanno mai smesso di insanguinare e impoverire la terra, ma il momento che stiamo vivendo è particolarmente drammatico, infatti l’uso delle armi atomiche viene ora apertamente minacciato» (Colosseo, 25 ottobre).
Difronte a tutto questo, cosa fare? «Prima di tutto occorre disarmare il cuore – risponde il Papa -. Sì, perché siamo tutti equipaggiati con pensieri aggressivi, uno contro l’altro, con parole taglienti, e pensiamo di difenderci con i fili spinati della lamentela e con i muri di cemento dell’indifferenza. Tutti desideriamo la pace, ma spesso quello che noi vogliamo è piuttosto stare in pace, non avere problemi. Noi vorremmo infatti che la pace piovesse dall’alto, invece la Bibbia parla del “seme della pace”, perchè essa germoglia dal terreno della vita, dal seme del nostro cuore» (Angelus, 1° novembre).
«Mentre accadono fatti di male che generano povertà e sofferenza, il cristiano si chiede: che cosa, concretamente, io posso fare di bene?». «Non scappiamo per difenderci dalla storia, ma lottiamo per dare alla storia che stiamo vivendo un volto diverso. E dove trovare la forza per tutto questo? Nel Signore. Nella fiducia in Dio, che è Padre, che veglia su di noi» (Giornata dei poveri – S. Messa, 13 novembre).
Anche il Viaggio Apostolico in Bahrein, in occasione dall’invito del Re a un Forum sul dialogo tra Oriente e Occidente,  è stato l’occasione per ricordare come «il dialogo sia l’ossigeno della pace». «Così, la prima visita di un Papa in Bahrein ha rappresentato un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani: non per confonderci o annacquare la fede – ha sottolineato il Pontefice -, ma per costruire alleanze fraterne» (Udienza generale, 9 novembre).
Anche ai giovani dell’Azione Cattolica italiana, il Santo Padre ha rivolto parole di esortazione a riguardo: «Voi volete contribuire a far crescere la Chiesa nella fraternità. Vi ringrazio! Ma come farlo? La fraternità non si improvvisa e non si costruisce solo con emozioni, slogan, eventi… No, la fraternità è un lavoro che ciascuno fa su di sé. La fraternità nella Chiesa è fondata in Cristo, nella sua presenza in noi e tra noi, attraverso l’Eucaristia». Ha poi aggiunto: «Mi piace molto un’espressione che voi usate: “essere impastati in questo mondo”. È il principio di incarnazione, la strada di Gesù. Ma a una condizione: che il lievito sia lievito, che il sale sia sale, che la luce sia luce. Se, stando nel mondo, ci mondanizziamo, perdiamo la novità di Cristo e non abbiamo più niente da dire o da dare» (29 ottobre).
Il Santo Padre ha dunque esortato a vivere con perseveranza la propria fede, non lasciandoci dominare da sentimenti negativi. «Purtroppo – ha messo in luce – alcuni decidono di abbandonare la vita di preghiera, o la scelta intrapresa, il matrimonio o la vita religiosa, spinti dalla desolazione, senza prima fermarsi a leggere questo stato d’animo, e soprattutto senza l’aiuto di una guida. Una regola saggia dice di non fare cambiamenti quando si è desolati. Sarà il tempo successivo, più che l’umore del momento, a mostrare la bontà o meno delle nostre scelte» (Udienza generale, 26 ottobre).
«Viviamo dunque la crisi come cristiani, non trasformandola in conflitto, perché ogni crisi è una possibilità e offre occasione di crescita» (13 novembre).
«Nella vita spirituale la prova è un momento importante. Se sappiamo attraversare solitudine e desolazione con apertura e consapevolezza, possiamo uscirne rafforzati sotto l’aspetto umano e spirituale. Ma – esorta ancora il Papa – non fuggire dalle prove!» (26 ottobre).

Monache dell’Adorazione Perpetua
Pietrarubbia, dicembre 2022