Vita della Diocesi

«Non vi ritengo ospiti, ma corresponsabili»

I giovani annunciano la profezia di un mondo unito

«Non bastano i nomi per definirla, perché poche parole, come questa, hanno il potere di riportarci con tanta forza alla nostra condizione umana, alla nostra fragilità, come alla nostra capacità creatrice, trasformatrice, imprenditoriale…». È la terra, argomento attorno a cui il Vescovo Andrea ha imperniato il suo intervento al Festival Francesco 4.0 tenutosi a Chiusi della Verna, dall’11 al 20 agosto, a ottocento anni dall’approvazione della Regola Francescana e del primo presepe di san Francesco a Greccio. Monsignor Andrea inizia raccontando il suo rapporto speciale con la terra attraverso un simpatico e significativo aneddoto familiare: «Prima di entrare in casa dopo il lavoro, mio padre – ha potuto crescere ben cinque figli con meno di un ettaro di orto! – si lavava accuratamente i piedi, poi, a piedi scalzi, attraversava il cortile ed entrava. Mamma aveva molta cura della casa e, vedendo papà entrare con i piedi coperti di terra, aveva da ridire. Lui replicava: “Ma la terra è pulita!”». La terra è dono, «l’abbiamo ricevuta dal Creatore», e dalla terra, «l’elemento del pianeta che è anche nelle stelle», è tratto l’uomo. La terra è anche responsabilità: «Come la trasmetteremo ai nostri figli e ai nostri nipoti?», chiede ai partecipanti al Festival.
Il Vescovo osserva che è necessaria «una rinnovata e sana relazione tra l’umanità e la terra», una vera e propria alleanza con la terra. Ne indica tre caratteristiche. Innanzitutto, l’unità: «Uomo e terra si appartengono reciprocamente. L’uomo non può ignorare le esigenze della terra, non può sottoporla al suo capriccio o al suo arbitrio, non può recidersi dalla terra. La terra, dal canto suo, se rispettata nei suoi cicli, nei suoi ritmi e nella sua natura, offrirà ospitalità, nutrimento e bellezza. Diversi, noi e la terra, ma uniti». Poi, l’indissolubilità: «I destini della terra e dell’uomo non sono pensabili separatamente. La perdita dell’uomo sarebbe per la terra un ritorno all’indietro, al caos. L’uomo trae profitto dalla terra, ma sarà attento a non impoverirla, a non manipolarla scriteriatamente». Infine, la generatività: «La terra e l’uomo, alleati, possono portare frutti di vita, hanno la vocazione a dare il meglio: pane quotidiano per tutti, acqua assicurata ad ogni uomo (purtroppo oggi non è così…), ma occorre una paziente opera, quasi una gestazione».
«Unità, indissolubilità e generatività – conclude il Vescovo – sono pensate dal Creatore, perché l’uomo, coltivando la terra, la indirizzi ad un futuro di risurrezione: compimento della creazione». L’uomo è tratto dalla terra e alla terra ritorna, ma «il tornare alla terra non è un marcire che dice fine, scomparsa, polvere. La fede ci assicura che l’uomo Gesù, entrato nelle viscere della terra, prepara la risurrezione ed è come un chicco di grano che porta frutto» (Intervento al Festival Francesco 4.0, Chiusi della Verna, 12.8.2023).
La parola “terra” è evocativa: il grido “terra!” di chi è arrivato alla fine di un lungo viaggio per mare fa pensare ai tanti naufraghi di oggi… L’estate, con l’aumento degli sbarchi, ha costretto ad una riflessione sempre più seria. «C’è chi è preoccupato della scarsa sostenibilità per una adeguata integrazione: poche possibilità di lavoro, fragilità delle strutture e dei servizi in un territorio disagiato. C’è chi sente la spinta a partecipare allo sforzo collettivo di aiuto concreto a fratelli e sorelle che portano i segni di una grande sofferenza e il peso dell’ingiustizia». «La Diocesi è da tempo impegnata nell’accoglienza – testimonia monsignor Andrea –, solidarietà e accoglienza sono considerate evangelicamente una promessa di benedizione». Il Vescovo rilancia l’appello di papa Francesco a pensarci tutti fratelli, ribadito con forza alla recente Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, a cui ha partecipato insieme ad una sessantina di giovani di San Marino e del Montefeltro: «Todos, todos, todos, conosciuti e amati dall’unico Padre» (Articolo per il Corriere di Romagna, 19.8.2023).
L’esperienza della GMG ha fatto «toccare con mano la vocazione dell’umanità ad essere famiglia»: incontri, scambi di bandiere, abbracci… «Un’esperienza formidabile: la profezia di un mondo unito. Non un sentimentalismo, ma strada concreta da percorrere, mettendoci la faccia e pagando di persona». Durante il viaggio di ritorno dalla GMG, il Vescovo Andrea ha lasciato ai giovani un messaggio a più livelli. A livello intimo ha visto i giovani «come la più bella esegesi della parabola del tesoro nascosto nel campo (cf. Mt 13, 44)». «La GMG – confida – è stata la verifica della scoperta di un tesoro». Non mancano le difficoltà e i limiti umani, le “erbacce” presenti in ogni “campo”, «eppure – prosegue rivolgendosi ai ragazzi – voi siete la testimonianza della verità del Vangelo!». A livello ecclesiale ha invitato a non strumentalizzare i giovani, ma a coinvolgerli attivamente nelle iniziative, accogliendo le intuizioni, i sogni, le proposte di cambiamento: «Non vi ritengo ospiti, ma corresponsabili!». A livello “politico” in senso ampio ha scoperto che «i giovani di oggi sono ragazzi e ragazze che, se necessario, si “accontentano di un’ombra”, si immaginano la pace, l’unità e l’internazionalità». Infine, il Vescovo ha affidato ai giovani tre parole per custodire nel cuore i frutti di quei giorni insieme: «Grazie, perdono, “eccomi”, l’“eccomi” di Maria che si “alzò e andò in fretta”» (Report dalla GMG, 8.8.2023).

Paola Galvani, settembre 2023

Nulla accade senza il Padre

Bellezza dell’essere prete missionario

«Lo sguardo di Gesù è uno sguardo di amore infinito, che conosce le esigenze e le sofferenze della gente. Solo l’amore conosce veramente». Con queste parole il Vescovo Andrea spiega l’atteggiamento del Signore quando sceglie «coloro che devono continuare la sua missione». «Vedendo le folle Gesù intuisce in loro il bisogno profondo di Vangelo». Da qui si comprende «la bellezza del prete missionario e la missionarietà di ogni discepolo di Gesù». Il sacerdote, condividendo lo sguardo amorevole di Gesù, «prova un sentimento di commozione che attraversa le viscere (il verbo usato nel Vangelo descrive il fremere tipico del grembo materno) per le fragilità e le debolezze della sua gente e sa cogliere il bello che c’è in ogni persona, come in una famiglia». La folla che Gesù, e il sacerdote, vedono attorno a sé è una “folla disordinata”, lacerata, dispersa, afflitta dalla stanchezza. «Oggi si parla molto della stanchezza esistenziale – osserva mons. Andrea – che non è la stanchezza fisica, ma il riverbero di una stanchezza più profonda». Che cosa ci rende stanchi? «È il non poter contare su relazioni in cui possiamo riposarci. Il cuore di ogni persona riposa nella pienezza di una relazione di amore, di accoglienza, nella quale c’è dono reciproco». Solo «in una relazione in cui ti puoi fidare – ribadisce – il cuore si riposa: puoi essere te stesso. Altrimenti devi sempre difenderti, conquistare posizioni, avere prestazioni che ti facciano accreditare dagli altri». Il Vescovo esorta il presbitero a soccorrere questa stanchezza perché la “folla disordinata” di persone diventi comunità, in cui «ognuno si senta bene, non giudicato».
«La messe è molta, ma gli operai sono pochi… Pregate!». Mons. Andrea nota con stupore che, di fronte ad una messe abbondante, non occorre «anzitutto darsi da fare per raccogliere e mietere, ma pregare». «Questa frase – prosegue – ci libera dall’ansia da prestazione; in fondo pensiamo che tutto dipenda da noi, dalla nostra iniziativa, invece, secondo Gesù, il vero evangelizzatore deve sapere che non è lui che salva il mondo: è Dio che opera» (Omelia nella XI domenica del Tempo Ordinario, Secchiano, 18.6.2023).
«Non abbiate paura», dice Gesù ai discepoli che muovono i primi passi per la missione. «È umano avere paura – commenta il Vescovo –, paura della persecuzione, paura della derisione (potevano sembrare fanatici), paura (ed è una paura che ha ogni sacerdote) di sentire la discordanza tra quello che proclama (la testimonianza evangelica) e la propria personale incoerenza». «Una paura che ci fa soffrire e, qualche volta, ci frena nel dire le parole di Gesù», confida. Il Signore non rivolge «un semplice invito a non avere paura, ma un comando (un imperativo)». La traduzione corretta sarebbe: «Non incominciate ad avere paura». Mons. Andrea presenta il testimone non come «colui che deve convincere, ma colui che condivide». «Non si tratta di trasmettere una teoria – precisa – ma Gesù stesso; cosa si può dire per annunciare il Vangelo se non parlare di se stessi, cioè raccontare quello che il Signore ha fatto nella nostra vita? Questo è Vangelo, questa è la bella notizia» (Omelia nella XII domenica del Tempo Ordinario, Maciano, 25.6.2023).
Tornando a parlare del sacerdote, il Vescovo ritiene che, «per capire il prete», sia necessario «salire con lui i gradini che lo portano all’altare, dove Cielo e terra si incontrano». «Se togli al prete la Messa – continua –, davvero non capisci più il senso e la radicalità della sua scelta. Il prete non è un funzionario, ma un uomo totalmente coinvolto in quello che annuncia e celebra. Le sue membra, per l’imposizione delle mani del Vescovo, sono diventate membra della redenzione, come quelle di Cristo. Pur essendo imperfetto, il Signore affida al prete il suo stesso donarsi». Il prete è «del nostro stesso legno» e tuttavia «è rivestito del mistero»; è «la persona più ricca che ci sia, perché possiede parole e mani che benedicono, perdonano, consacrano, risanano e, nello stesso tempo, è la persona più povera, perché pronuncia parole che non sono sue. Il programma e la forza gli provengono da altrove, e anche lui, come ciascuno di noi, grida: “Signore, abbi pietà di me, sono un peccatore. Signore, credo, ma aumenta la mia fede. Signore, salvami”» (Omelia in occasione del 70° anniversario di ordinazione di mons. Giuseppe Innocentini, Serravalle RSM, 25.6.2023).
Dopo l’esortazione a non avere paura, nel Vangelo Gesù parla di passerotti che «non cadono a terra senza il volere del Padre» e dei capelli del capo che «sono tutti contati». «Però vediamo tante cose non belle che accadono», commenta mons. Andrea. «Sei tu, Signore, che le vuoi?». La traduzione esatta sarebbe: «Nemmeno uno di essi cadrà a terra senza che ci sia il Padre accanto a loro». Il Vescovo invita a vedere nello stesso modo «le persone che sono nella prova, i bambini che vengono violati, i migranti che si inabissano nel mare». Allora, si può dire che tutto questo «non accade senza il Padre, senza che ci sia il Padre accanto a loro nel mistero della sofferenza». Capita spesso di usare il proverbio: «Non cade foglia che Dio non voglia». Ma, in verità, «nulla accade senza che il Padre sia accanto a te, pronto a raccoglierti». E conclude: «Tutto passa, tutto crolla, ma il Signore non passa. Il Signore rimane sempre» (Omelia in occasione del 60°anniversario di ordinazione di mons. Graziano Cesarini, Macerata Feltria, 24.6.2023).

Paola Galvani, luglio-agosto 2023

«Non un convegno, ma comunione da vivere!»

Un Cenacolo vivente

«Siamo giunti al termine di un altro anno pastorale, caratterizzato da un forte invito ad essere “costruttori di comunità nei cantieri della vita”, una responsabilità che continua a riguardarci tutti: presbiteri e diaconi, consacrati e laici, giovani e adulti». Con queste parole il Vescovo Andrea aveva invitato tutti i fedeli della Diocesi alla «grande assemblea diocesana», sabato 27 maggio, chiamata anche “pomeriggio del Magnificat”, perché ci si è radunati per raccontare quello che il Signore è andato operando «nei nostri cuori, ma soprattutto nelle comunità, nei gruppi, nelle associazioni, nella Diocesi». «Guai a chi manca!», aveva raccomandato ad ogni incontro nei mesi precedenti. Mons. Andrea aveva spiegato che tutti i momenti dell’incontro sarebbero stati importanti: il lavoro nei gruppi, la cena “frugale”, la Messa, i saluti tra i partecipanti… «Chi entra nell’Assemblea dovrebbe capire che si trova in una dimensione speciale di Chiesa»; allo stesso modo, «fin da quando si parte da casa ci si trova già in questa dimensione, perché si parte per vivere la comunione». Dunque, il “pomeriggio del Magnificat” «non è un convegno, ma comunione da vivere!». Durante l’Assemblea era previsto un momento di “restituzione” del lavoro sinodale effettuato nelle parrocchie, a cui si è aggiunto un tempo per la conversazione spirituale a piccoli gruppi chiedendosi che cosa si è imparato sul “camminare insieme” in questi due anni di ascolto.Qualcuno si sente a disagio quando c’è da parlare. Mons. Vescovo incoraggia tutti dicendo che nessuno deve sentirsi obbligato, ma che è molto opportuno che «i laici prendano la parola per raccontare, non da maestri ma da testimoni, come le loro storie, e la Storia, aprano pagine di Vangelo».Riferendosi al Cammino Sinodale, mons. Andrea continua a ribadire che «non si tratta di scrivere documenti, ma di vivere la Chiesa stando in ascolto dello Spirito e perseverando nel dialogo fra noi». Un altro momento significativo del pomeriggio assembleare è stata la cosiddetta “operazione cinque pani e due pesci”: ogni partecipante ha portato da casa qualcosa da mangiare: il tutto è stato “spezzato” e condiviso, «una sorta di “moltiplicazione”, anche questo un segno di comunione fraterna». Dopo la cena, il momento solenne del memoriale della Pentecoste. «Memoriale – spiega il Vescovo – inteso in senso biblico-liturgico: la Pentecoste accade proprio qui, stasera, in questa chiesa» (Incontro con l’équipe sinodale diocesana, 17.5.2023).
Perché l’Assemblea diocesana è così importante? Nell’Assemblea si vive «un’esperienza di Cenacolo, perché c’è il vescovo (l’apostolo), ci sono i presbiteri e i diaconi, i consacrati e le consacrate, i battezzati che si riuniscono e raccontano, proprio come i primi discepoli, i loro incontri con Gesù». Nel Cenacolo Gesù «ha fatto fare palestra di unità ai Dodici», ha lavato i piedi a Pietro e agli apostoli, ha dato il “comandamento nuovo”: «Amatevi, come io vi ho amati». Poi, durante la cena, ha preso il pane e il vino, ha pronunciato le benedizioni prescritte e li ha trasformati nel suo corpo, sangue, anima e divinità: l’Eucaristia. Nel Cenacolo Gesù ha fatto anche la grande promessa: «Riceverete lo Spirito Santo». Mons. Andrea presenta il Cenacolo con la metafora del cuore, «a cui il sangue viene attratto e da cui viene inviato in tutto l’organismo, arricchito di tutto quello che gli serve per essere vita». Dell’Assemblea diocesana dice: «Noi siamo un Cenacolo vivente». Nel Cenacolo Gesù appare dopo la risurrezione, «quando è sera». La mancanza di sole indica «la loro fede piena di dubbi, incertezze, perplessità… piena di sensi di colpa, perché erano fuggiti tutti, eccezion fatta per la mamma, Maria, e Giovanni, l’amico del cuore». Dunque, «si trattava di una comunità sgangherata e impaurita. Una comunità dove ognuno viaggia per conto suo: i due di Emmaus se ne vanno al villaggio, Maria di Magdala va al giardino…». Il Vescovo fa notare la somiglianza con le nostre comunità parrocchiali «con i litigi fra catechiste, il coro che arriva in ritardo, il giovane che legge il giornale in fondo alla chiesa, le discussioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale (come una riunione di condominio!), i cristiani “perfetti” che non hanno pazienza con i “poveri peccatori” e criticano aspramente…». Tuttavia, evidenzia che le nostre parrocchie «sono comunità messianiche, costituite da discepoli del Messia, destinate a rovesciare il mondo… come è accaduto agli apostoli: san Pietro è arrivato fino a Roma, san Paolo è arrivato persino in Spagna». Comunità in cammino, in cui «Gesù ci educa, ci forgia poco a poco, col dono del suo Spirito» (Omelia nella II domenica di Pasqua, Arbe-Croazia, 16.4.2023).
Ad ogni assemblea, ad ogni raduno familiare, in ogni comunità manca sempre qualcuno… «C’è sempre il senso della mancanza e quindi della ricerca del dodicesimo fratello. Siamo nel tempo dell’imperfezione». Di assenza e attesa, mons. Andrea parla commentando il racconto dell’Ascensione nel Vangelo di Matteo: «Gli Undici andarono in Galilea». «“Undici” vuol dire “non dodici”» – puntualizza il Vescovo – e sappiamo tutti che gli apostoli erano dodici». «Chi sente la parola “undici” – prosegue – non può non fare memoria del dramma del tradimento di colui che mancava, Giuda». Il Vescovo presenta l’Ascensione come «il mistero dell’assenza di Dio». In effetti, «per molti la prima esperienza di Dio è che non si vede, che sembra assente. Per questo si fa fatica a credere». «Tuttavia – osserva – questa assenza è segnata dalla tensione, proprio come accade quando diamo appuntamento ad una persona cara: pensiamo a lei, ci prepariamo all’incontro al suo ritorno, addirittura quell’assenza ci tiene svegli». Dunque, «l’assenza è un modo diverso di vivere la presenza, un modo diverso di essere in relazione». E conclude: «Durante l’attesa succede tutto, così è stato nel Vangelo».

Paola Galvani, giugno 2023

Un “SÌ” per costruire la comunità

La ricerca vocazionale non finisce mai

«Ogni mattoncino è un “sì” che abbiamo cercato, che cerchiamo e che cercheremo di vivere: siamo costruttori di comunità, ognuno per la sua parte». Con queste parole il Vescovo Andrea commenta il gesto con cui i partecipanti alla Veglia diocesana di preghiera per le Vocazioni hanno applicato una tessera sul cantiere in costruzione di una comunità stilizzata su un grande pannello di legno. Il Vescovo ha lasciato tre “pensieri-flash”. Scherzosamente ha detto che, se fosse diventato Papa, avrebbe introdotto «una nuova festa del calibro del Natale o dell’Assunzione di Maria: la festa della Divina Rivelazione», per sottolineare che «Dio parla, parla anche col suo silenzio». Uno dei frutti del Cammino Sinodale è la “trasformazione” degli incontri diocesani in momenti sinodali. Secondo questo intento, quest’anno la Veglia, iniziata con una cascata di canti a tema vocazionale, ha visto un momento di suddivisione in gruppi per il confronto sulla domanda: «Come si incontra il Signore?». «Nel mio gruppo sinodale – confida il Vescovo – è emerso che Dio parla nei modi più impensati, spesso nella fragilità e nella sofferenza». A chi è in ricerca vocazionale, «una ricerca che non finisce mai, perché capitano sempre periodi in cui si devono prendere posizioni», mons. Andrea attesta che «la vocazione più grande di tutte è la vocazione ad essere figli di Dio». «Se abbracci questa vocazione – precisa – tutte le altre diventano relative». Utilizzando la metafora della bussola che indica sempre il Nord, salvo rimanere indifferente (libera) quando ci si trova al Polo Nord, il Vescovo spiega che «la vera libertà consente di fare quello che vuole il Signore, pur con la nostra umanità. Fondamentale è fare la scelta di Dio». Infine, l’invito ad «essere “costruttori di comunità” in ogni luogo, laddove ci chiama la vita, dove il Signore ci manda» (Intervento alla Veglia diocesana di preghiera per le Vocazioni, Valdragone RSM, 28.4.2023).
«La comunità è un cantiere: c’è bisogno di manodopera». Mons. Andrea fa notare che «la comunione ci è stata donata, è costitutiva del nostro essere, perché siamo stati creati “ad immagine di Dio” che è Trinità di Persone in relazione fra loro». La «chiamata alla comunione, in concreto, storicamente, si traduce nella comunità». «Costruire la comunità – aggiunge – è impegnativo, perché ognuno di noi ha la sua individualità, il suo carattere, la sua storia, la sua cultura. Siamo in cammino!».
Sabato 27 maggio si terrà l’Assemblea diocesana di verifica. È consuetudine chiamarla “pomeriggio del Magnificat”, perché si condividerà quello che il Signore ha fatto in noi. Puntualizza il Vescovo: «Nell’Assemblea diocesana non parleremo di noi, anche se parleremo di esperienze vissute nelle nostre comunità, perché le riferiremo come opere che ha compiuto il Signore attraverso noi» (Intervento al Convegno Caritas, Novafeltria, 23.4.2023).
In questi primi giorni di maggio non si fa che parlare del nuovo Decreto sul lavoro varato dal governo italiano. In occasione del 1° maggio il Vescovo ha invitato ad una riflessione profonda sui motivi per cui si fa festa al lavoro: «Il lavoro, benché costi fatica e sudore, ancorché debba misurarsi con la resistenza che gli fa la natura, nonostante l’attrito della materia che non si lascia piegare facilmente, è per l’uomo possibilità di trasformazione del mondo, di modificazione della realtà, di esplorazione in ogni campo». «Proprio nel lavoro, nell’iniziativa, nell’impresa – continua – l’uomo esprime uno dei profili che lo rendono “a somiglianza di Dio”, gran lavoratore: Dio è sempre all’opera!». Per questo invita a coglierne, oltre alla necessità e utilità, la bellezza. «Perfino i bambini – commenta – quando giocano fanno mestieri: conosco bambini camionisti straordinari e… bambini che giocano a fare il prete! Conosco anche uomini e donne che lavorano con tanta passione: il loro lavoro sembra un gioco». Mons. Andrea ravvisa che «una delle piaghe più gravi della società è la mancanza di lavoro». «È calata la disoccupazione (secondo dati recenti) – constata – ma si tratta di un lavoro inclusivo e sicuro?». E conclude: «Vorremmo che questo 1° maggio parlasse davvero a tutti e dicesse la verità: una Festa del Lavoro è davvero tale solo se si accresce il grado di dignità delle persone, se si accompagna con strumenti solidali chi non ce la fa, se non ci si arrende ad un’occupazione povera e precaria» (Omelia nella Festa di San Giuseppe Lavoratore, Gualdicciolo RSM, 1.5.2023).
Il prossimo anno pastorale «lo sguardo, il cuore, la speranza saranno rivolti al sacramento che è sorgente della vita cristiana ed è fonte e culmine: l’Eucaristia». I Consigli diocesani stanno iniziando a preparare il Programma Pastorale 2023/24, o meglio a «mettersi in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa di San Marino-Montefeltro». «La comunione sacramentale (fare la Comunione) – afferma mons. Andrea – esige, postula, provoca l’essere in comunione». Occorre «essere in comunione nella Chiesa (con il papa, i vescovi e il popolo santo di Dio)» e «nel superamento dell’intimismo». Il Vescovo esorta a non «perdere di vista la dimensione di corpo mistico: io ricevo Gesù nell’Eucaristia, ma faccio comunione con l’intero suo corpo (la comunità), pertanto l’Eucaristia unisce, purifica, dà slancio alla carità». Inoltre, mette in evidenza che «quel Pane è un programma di verità e di vita: dal sapere e dal sapore dell’Eucaristia derivano gli atteggiamenti e le scelte pastorali che ci guideranno nel prossimo anno» (Consiglio Pastorale Diocesano, Pennabilli, 26.4.2023).

Paola Galvani, maggio 2023

«Più grande è l’amore, più comprensibile è il dolore»

Giorni di cuori, volti, occhi bagnati di lacrime

Il terzo venerdì di marzo, a Pennabilli, si festeggia il “Venerdì Bello”. Si ricorda la lacrimazione dell’immagine della Madonna, custodita nel Santuario a lei dedicato, avvenuta il 20 marzo 1489: «Un evento di lacrime, ma tramandatoci come bellezza»! Nell’omelia pronunciata alla presenza dei cittadini di Pennabilli in festa e di tutti i sacerdoti della Diocesi il Vescovo Andrea ha approfondito il tema delle lacrime, «punto d’incontro fra corpo e anima: le lacrime esprimono sentimenti, accompagnano la preghiera, indicano un dolore esteriore ed interiore, fisico e spirituale; una distinzione – quest’ultima – improbabile, perché il dolore e le lacrime dicono l’unità della persona nella sua realtà psicofisica». Aprendo lo sguardo al mondo, mons. Andrea osserva che «le lacrime più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si vede strappare violentemente una persona cara, di chi si sente abbandonato, fallito, incompreso». «Ci sono lacrime – sottolinea – che ci fanno onore, quando sono segno della partecipazione del cuore alle sofferenze degli altri e alla Passione del Signore». Le lacrime sono un tema ricorrente nelle Sacre Scritture, in cui «ci sono un’umanità che piange, un popolo in cerca di liberazione, cuori, volti, occhi bagnati di lacrime». Tra i personaggi biblici, il Vescovo si sofferma sulla figura di Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto dai suoi fratelli per gelosia. Giuseppe piange ben cinque volte; le prime tre sono lacrime di commozione «suscitate dall’incontro, dall’affetto, dalla gioia di ritrovarsi, non dal dolore». «Si piange anche di gioia!», esclama mons. Andrea. Poi seguiranno lacrime di dolore, quelle versate per la morte del padre, e quelle, le più pungenti, versate per i suoi fratelli, che dichiarano di non credere al suo perdono. Mons. Vescovo mostra che Giuseppe è figura di Dio ed esorta a liberarsi «dalla mentalità presente nei fratelli di Giuseppe», spiegando che «la riconciliazione avvenuta in Gesù Cristo non è quella in cui il peccatore cerca di riconciliarsi con la divinità». Anzi, l’annuncio evangelico è proprio all’opposto: «È Dio, nel suo Figlio, ad essersi già riconciliato con noi, a prescindere dalle nostre colpe» (Omelia nei Venerdì di Quaresima al Santuario del SS. Crocifisso, Longiano, 10.3.2023).
Storie di lacrime sono presenti anche nel Nuovo Testamento. Mons. Andrea riferisce quelle della “donna silenziosa”, che «contengono il dolore per il suo peccato e la consolazione per il perdono» e quelle di Paolo di Tarso che «esorta con lacrime» e «scrive lettere tra lacrime di delusione». Anche Gesù scoppia a piangere «per la morte dell’amico Lazzaro e alla vista di Gerusalemme ingrata». Inoltre, «di Gesù – prosegue – l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che, nei giorni della sua vita terrena, “offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime”». Rivolgendosi ai sacerdoti richiama il “ministero di consolazione” che esercitano in quanto “annunciatori di Risurrezione”, «un quotidiano asciugare lacrime, un piangere con chi piange, fino a proclamare la beatitudine: “Beati voi che ora piangete, perché riderete”». Il Vescovo conclude con una riflessione sulle “lacrime di Dio” per rispondere alla domanda che ha rivolto ai presenti all’inizio della celebrazione: «Il Cielo è vicino alle nostre vicende? C’è sofferenza in Dio? C’è partecipazione al dolore umano?». Se consideriamo la sofferenza «nel suo aspetto di limite, imperfezione, mancanza» non si possono mettere insieme «lacrime e perfezione divina». Tutto cambia «quando la sofferenza viene collocata nell’ambito dell’amore». Allora «viene riscattata dalla sua negatività: più grande è l’amore, più comprensibile è il dolore». Mons. Andrea richiama l’esperienza di Mosè al quale è dato di sentire le parole di Dio che ha visto la sofferenza del suo popolo e udito il suo grido. Ed è sceso per liberarlo. Dunque, «Dio vede, sente, partecipa e, soprattutto, ama». Poi, «per la fede cristiana Dio si fa uomo: in Gesù Cristo vuole provare come sta l’uomo sotto il peso della croce, come patisce per l’amarezza dell’ingratitudine, come risuonano nel petto i battiti del cuore umano e quanto è abissale l’oscurità delle notti dell’anima». Gesù assume tutte le fragilità dell’uomo per redimerle (Omelia nella Solennità del “Venerdì Bello”, Pennabilli, 17.3.2023).
Motivo di sofferenza in questo periodo pasquale continua ad essere la guerra. La guerra tra Russia ed Ucraina e le tante guerre nel mondo, spesso dimenticate. In occasione del Convegno intitolato “Profezia per la pace” il Vescovo ha indicato il metodo che può sostenere questa “profezia”: il metodo della fraternità e del dialogo. «La pace – avverte – è come un atto sospeso tra la memoria ferita e la profezia scritta nel cuore dell’uomo. È un processo cui è chiamato ogni popolo, l’intera famiglia umana». Mons. Andrea esorta a «mettere in stretta connessione la speranza per la pace nel mondo con l’impegno per la pace nel proprio mondo». Occorre «costruire la pace nelle relazioni ed aprirci ad uno stile che non nega il conflitto ma sceglie di attraversarlo disarmati». Mons. Vescovo spiega la distinzione fra “conflitto” e “guerra”. «“Conflitto” è espressione dell’esistenza della libertà, che attiene all’area delle prospettive, dei punti di vista, dei legami e dei legittimi desideri», mentre «la “guerra” è un modo errato di risolvere un “conflitto”. Un “conflitto” scivola verso la “guerra” se non includo con la mia le altre prospettive possibili». E conclude: «Collochiamoci nella profezia per la pace riconoscendo che la pace è persa solo nel momento in cui smettiamo di sperarla» (Saluto al Convegno “Profezia per la pace”, Domagnano RSM, 23.3.2023).

Paola Galvani, aprile 2023