“Non un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa”

Continua il cammino sinodale.

Tanti, oggi, si lasciano vincere dallo sconforto: si lasciano cadere le braccia (cfr. Sof 3,1-6). Molti hanno chiuso con la Chiesa. Altri accusano stanchezza. Si attengono all’indispensabile e tirano a campare; ripiegano su una spiritualità intimistica e vivono esclusivamente un’appartenenza tradizionale. Smettono di sognare. Non si accorgono che sul vecchio tronco spuntano nuovi germogli. Ben si addice a costoro il rimprovero del profeta Isaia: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). C’è un altro modo di vedere la Chiesa: vederla con gli occhi di Gesù che continua ad effondere il suo Spirito, a camminare con lei (cfr. Ap 1,12-13), persino quando è perseguitata (cfr. At 9,4). Il Signore – non bisogna dimenticarlo – si è riservato «settemila persone», così assicurò al profeta Elia deluso e abbattuto (cfr. 1Re 19,18). Sono tante? Sono poche? Importante siano autentiche, gustose come il sale, feconde come il lievito, raggianti come la luce. Poi – è una promessa solenne – «quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). Secondo una bella espressione del Concilio Vaticano II: «La Chiesa cammina fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio». Ma a dare coraggio è soprattutto la solenne promessa di Gesù ai suoi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Dopo i primi mesi di lockdown ci si chiedeva, smarriti e perplessi, che fare? Drasticamente sospese le iniziative, ridimensionati i programmi, chiusi gli spazi e i luoghi dell’incontro. Ci è stato tolto molto: ne abbiamo sofferto e ne soffriamo, toccati su due elementi portanti quali la corporeità e la relazione. Ma non ci è stato tolto l’essenziale: icona eloquente fu quella preghiera di papa Francesco nel centro della cristianità, quella piazza San Pietro vuota… Ma tutto il mondo era lì! Non meno significativa e importante la preghiera domestica, la lettura della Parola, la riscoperta dell’adorazione, la testimonianza della carità. In questi giorni “sinodali” per confermare la solidità della Chiesa conviene ripartire dalle parole di Gesù che l’ha voluta. Gesù ha fatto come Dio nell’Antico Testamento: ha radunato un popolo. All’inizio fu un piccolo gruppo, ma depositario di una grande promessa: «Non abbiate paura, piccolo gregge: il Padre si è compiaciuto di dare a voi il suo Regno» (Lc 12,32). Così il Regno di Dio va formandosi in mezzo agli uomini. Gesù non si limita a prevedere questo nuovo popolo, ma ne cura in anticipo la formazione. Da maestro e amico cerca, anzitutto, il cuore del discepolo: il primo pensiero non sembra quello di strutturare una vasta organizzazione. Però, Gesù non è un profeta che sparge distrattamente il seme della Parola senza preoccuparsi che quella Parola serva a formare una comunità: l’ha voluta sapientemente radunata attorno agli apostoli. «Andate e ammaestrate tutte le nazioni – proclama con solennità – battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato» (Mt 28,19). Né razza, né origine hanno importanza, importano semmai la coscienza della propria insufficienza e la disponibilità a ricevere il Regno di Dio. L’umiltà è il requisito più importante. Per questo l’annuncio del Vangelo ha come destinatari privilegiati i poveri, i piccoli, i malati, i peccatori.
Chiesa significa assemblea. Fin dai primi tempi la Chiesa si è percepita come comunità, ma ad un livello diverso dalle altre comunità umane. È Regno di Dio, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito. In una parola la Chiesa è Mistero. Questa è la coscienza che ne hanno Pietro, Paolo, Giovanni, la Chiesa delle origini. La sua situazione, umile e precaria, l’aiuta a rimanere sulle orme del Cristo povero e servo. Questa coscienza di sé perdura nella Chiesa: è racchiusa nel tesoro delle Scritture, continuamente ricordata dallo Spirito, dalle testimonianze dei suoi santi e dai carismi (cfr. Gv 14,26; 16,13-19), ma le vicende storiche la condizionano. Qualcuno ha scritto della Chiesa: «Quest’anima ha troppo corpo. Questa città ha troppe istituzioni». Ancora una volta il Signore si serve della situazione storica, col suo carico di prove, per riportare la Chiesa ad una rinnovata coscienza di sé. Oggi la Chiesa non si trova in nessun luogo in una posizione di dominio temporale: cacciata da una parte, perseguitata da un’altra, minoritaria quasi dappertutto, riscopre la propria parentela con Israele nel deserto e la propria vocazione di popolo in cammino verso la terra promessa. C’è chi paragona l’attuale situazione della Chiesa a san Paolo caduto da cavallo, secondo la raffigurazione che ne ha fatto il Caravaggio. La Chiesa, come Paolo, giace a terra con le braccia allargate; ha di fronte la corpulenza del cavallo, che rappresenta i condizionamenti del passato e l’eredità pesante dei poteri e degli onori. La Chiesa “caduta da cavallo” ritrova umiltà e si riconsegna al suo Signore.
Qualcuno sussurra: «Perché la Chiesa non si aggiorna? Perché non sta al passo con i tempi?». Chi fa questa domanda, per un verso chiede una cosa buona. Mi piace, a questo proposito, citare le parole di papa Francesco: «Spirito Santo, preservaci dal divenire una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato ma poco avvenire». Per un altro verso, forse chi fa questa domanda non sa che ci sono cose che la Chiesa ha ricevuto e che custodisce gelosamente: sono le parole di Gesù e la Sacra Tradizione. Queste sono realtà che non dipendono da lei. Altro invece è lo sforzo di adattamento alla situazione. «Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa» (Y. Congar). È ciò che san Giovanni XXIII ha proposto a tutta la Chiesa nel Discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962): «Il nostro dovere – diceva ai padri conciliari – non è solo quello di custodire il tesoro prezioso della “dottrina”, ma che questa dottrina, certa e immutabile, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo». Questo è l’impegno della Chiesa di oggi: accompagnare con gradualità alle mete altissime della verità e dell’amore. Da qui i verbi che Papa Francesco ci ha invitato a coniugare: accompagnare, discernere, integrare. Allora, tutti corresponsabili della missione. Non lamentele, ma un generoso e corale “Eccomi!”. La missione è incontro, servizio alla Parola, impegno di carità, liturgia ed Eucaristia, ma a parlare più forte è la vita. Per questo la testimonianza non “funziona a fasce orarie” ma è “sempre”. Una testimonianza così risveglia “domande irresistibili e fa venire fuori” il Vangelo che c’è “nella coscienza delle persone”.

+ Andrea Turazzi, febbraio 2022