Giovani: quel tesoro racchiuso nell’anima (Aprile 2018)

Verso la Giornata diocesana dei giovani – sabato 12 maggio. «La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…». L’avreste detto? Queste parole non sono dei giorni nostri; raccolgono lo sfogo di un filosofo vissuto nel V secolo a.C., niente meno che Socrate. In una immaginaria conversazione raccolgo le osservazioni di un altro personaggio, Victor Hugo: «Del resto quel che con troppa durezza chiamiamo in certi casi l’ingratitudine dei figli non è sempre così riprovevole come si crede: è l’ingratitudine della natura, la quale, come dicemmo altrove, “guarda davanti a sé”. Essa divide gli esseri viventi in chi arriva e chi parte: questi sono volti verso l’ombra, quelli verso la luce: di qui una scissione che da parte dei vecchi è fatale e da parte dei giovani involontaria: tale scissione, dapprima insensibile, si allarga lentamente come qualsiasi biforcazione di rami, che senza staccarsi dal tronco se ne allontanano, e non per colpa loro. La giovinezza si volge verso la gioia, le vive luci, gli amori: la vecchiaia verso la fine. Non ci si perde di vista, ma non c’è più unione. Non accusiamo questi poveri ragazzi» (I miserabili, IV, 9, 1). Socrate e Victor Hugo, benché in modo diverso, testimoniano come il rapporto giovani-adulti permane nel segno della dialettica. C’è qualcosa di permanente e strutturale in questa tensione. Il conflitto fra giovani e adulti, fra padri e figli, ha conosciuto picchi significativi, ma con ulteriori motivazioni sociali e culturali. Alcuni di noi ricordano bene il “’68”, ci sono passati. Oggi il vento è cambiato. Un tempo gli adulti erano portatori di certezze; intervenivano in modo perentorio ed assertivo nella educazione; era normale ricorressero a “premio e castigo”. I giovani tendevano a lasciare presto la famiglia d’origine. Oggi nella “famiglia affettiva” gli ambiti di conflitto sono più attenuati. I giovani non sembrano aver fretta di uscire. Se un tempo il destino era segnato – proseguire la via aperta dai genitori – ora il futuro si presenta con una eccedenza di possibilità. L’indeterminatezza si prolunga nel tempo, a motivo della precarietà, del rinvio dell’ingresso nel mondo del lavoro, della perenne rivedibilità delle scelte. La divaricazione giovani-adulti conosce un elemento nuovo, congiunturale: si tratta della distanza dei linguaggi. Capita spesso di raccogliere lo spaesamento dell’adulto nei confronti del mondo digitale a differenza dei giovani che hanno acquisito competenze, abilità, nuova mentalità e nuovo stile di comunicazione e di vita. Codici, alfabeti, lunghezze d’onda, valori: divaricazione inesorabile? Incomunicabilità? Gap insormontabile? Si è tenuto qualche settimana fa a San Marino un convegno organizzato dal “Forum del dialogo” incentrato sul tema “Dialogo intergenerazionale: giovani e adulti, parti o controparti di questa società complessa?”. Giovani e adulti si sono confrontati, hanno portato esperienze, hanno fatto prove di dialogo. Ho portato una mia riflessione: sto prendendo molto sul serio l’imminente Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Mi è chiesto di stare di fronte al mondo giovanile in totale disponibilità e ascolto. Come in ogni ambito del dialogo, occorre anche qui essere sé stessi, con la propria identità, formazione e sensibilità. Come adulto vorrei avere spazio piuttosto per autorevolezza che per autorità. Non compromette l’autenticità del rapporto l’ammissione della propria vulnerabilità e fragilità. Il primo passo tocca a me, sono l’adulto. Voglio il dialogo. Sono consapevole che alla fine non ne uscirò indenne. Il dialogo mette in questione, è rischioso, ma rigenera, rinnova, arricchisce. Sono contento della freschezza e dell’originalità dei giovani. Guai all’adulto che invidia la loro felicità. Guai al giovane che non decide di diventare adulto. Un’esperienza: mi è capitato di provare spaesamento nell’affrontare un gruppo di giovani, quasi una sorta di soggezione per la disparità dell’età e più ancora per la distanza culturale. Ho chiesto di farmi posto. Ho confessato il mio imbarazzo, ma anche il sincero desiderio di ascoltare e comunicare. È andata bene. Il dialogo è stato possibile. Ho trovato più profondità e più luce di quanto immaginassi. Un’altra esperienza: mi trovo sul fare del giorno in riva all’Adriatico. Ci sono molti ragazzi, probabilmente appena usciti dalle discoteche della riviera, scomposti, seduti a gruppetti sulla sabbia. C’è chi chiacchiera sommessamente, chi strimpella la chitarra inascoltato, qualche altro beve la sua ultima birra. Osservo. Giudico. Sentenzio senza appello contro questa gioventù… Ad un tratto, una ragazza che cammina sul bagnasciuga con i calzoni rimboccati fino al ginocchio, urla: «Guardate! Guardate!». Anch’io mi volto e vedo che, in quell’attimo, sta per uscire il disco solare all’orizzonte, creando sulle onde riflessi incantevoli. I giovani abbandonano zainetti, bottiglie, chitarra, ecc. e corrono in riva al mare. C’è un minuto di grande silenzio. È il silenzio dello stupore, della meraviglia, dell’incanto e… della preghiera. Sono stato smentito! Cambia la mia considerazione e il mio rapporto con i giovani. Ricomincio dal tesoro racchiuso nella loro anima, dalle aspirazioni profonde che li rendono inquieti. Essi sono la grande risorsa del nuovo umanesimo. Ci accomuna, al di là dei linguaggi e degli stili, la luce che viene da dentro: più limpida quella dei giovani, da purificare quella degli adulti.
✠ Andrea Turazzi