Con “lo stile delle 3R”

Il Regno di Dio sposa i ritmi del tempo e della carne

«Il Vangelo offre due similitudini molto incisive per equipaggiare il nostro cuore di evangelizzatori». Così il Vescovo Andrea presenta il brano di Marco che dà inizio al terzo giorno della “Tre giorni” di studio e di fraternità dei presbiteri (cfr. Mc 4,26-34). «Entrambe le similitudini hanno un denominatore comune – commenta mons. Andrea –: il contrasto (o meglio la dinamica) fra la forza vincitrice del seme e la lentezza del suo sviluppo; poi, tra la piccolezza del seme di senape e la sua grande espansione» (Omelia nell’XI domenica del Tempo Ordinario, San Leo, Cattedrale, 13.6.2021). «Il seme che cresce da sé – nella prima similitudine su cui si sofferma – sta a significare la certezza del raccolto, benché il contadino, dopo aver seminato, stia fermo». Si può ricavare un’indicazione di metodo per l’evangelizzatore. Infatti, la stessa attività missionaria di Gesù in Galilea poteva apparire «come qualcosa di piccolo, di insignificante, con il suo passaggio di borgata in borgata, tra le città del lago e la gente che lo vorrebbe trattenere». Dunque, «non c’è una progettualità manageriale in Gesù, ma un’urgenza: spargere il seme… nella persuasione che Dio è all’opera». Si può concludere che «il Regno accade perché Dio è infaticabile seminatore: non demorde, non è stanco di noi sulla terra, non c’è nessuno che sia – come dice il Concilio – modo Deo cognito (GS 22), privo dei suoi germi di vita e di bene, nessuno troppo lontano dalla sua mano».
Il seme che cresce da sé mostra anche «una problematica che sfiora tutti: il rapporto fra il tempo e la fretta che abbiamo». «La nostra società – fa notare il Vescovo – tende a guardare il tempo nella prospettiva dell’efficienza. Lo Spirito è veloce, ma la carne è lenta». «Il Regno di Dio – continua – nella logica dell’incarnazione sposa i ritmi del tempo e della carne» (Meditazione ai presbiteri, Valdragone RSM, 9.6.2021). Per completare la riflessione sul seme che cresce da sé il Vescovo presenta “lo stile delle tre R”. La prima parola è ritmo, nel senso che «la nostra vita deve avere un ritmo senza perdite di tempo, ma anche senza ossessione; il seminatore, dopo aver seminato, ha finito con il seme, ma lo attendono altri lavori da fare fino alla mietitura». La seconda è regola: «Ogni cosa a suo tempo. Ogni azione è importante, anche se non ne vediamo subito i risultati». La terza “R” è rito. «Ogni azione, dalla più semplice a quella più impegnativa, è da vivere con sacralità. È la sacralità del “momento presente” (kairòs)».
Una festa molto significativa, ma che a volte passa “inosservata” perché posta proprio all’inizio dell’estate, è la solennità della Dedicazione della Cattedrale, in realtà «una festa a Cristo, Sposo della sua Chiesa», ricorda il Vescovo. La riflessione del Vescovo parte non dalla chiesa fatta di pietre, ma dal tempio vivo: «Innanzitutto Cristo e la sua umanità e, in lui e con lui, ogni cristiano, pietra viva di quel tempio spirituale che è la Chiesa». Nel secondo punto della meditazione il passaggio dal tempio vivo alla chiesa di pietra: «Finché le comunità cristiane erano poco numerose, una casa qualsiasi bastava a radunare assemblee di fratelli; col passare del tempo crebbe l’esigenza di nuovi e più ampi spazi, adeguati alle necessità del popolo cristiano che cresce nella fede». La terza “arcata” della meditazione è dedicata alla chiesa che è per gli uomini. Il Vescovo deduce dalla preghiera di Salomone l’importanza che la casa ha per l’uomo, «non soltanto un riparo, ma qualcosa di molto più profondo». Nella casa «l’uomo vive con le persone che gli sono care, con le cose che gli appartengono; in essa si conservano le memorie, le fotografie, e prendono consistenza le speranze». Dunque, «la Chiesa ha bisogno di chiese, perché gli uomini hanno bisogno di una casa». «Tutta la vita della comunità e dei singoli cristiani – osserva – fa riferimento alla chiesa: la nascita, la morte, la malattia, l’amore, la festa, il lutto, la penitenza, l’esultanza, tutto vi trova un’eco fedele e puntuale».
Tuttavia, «la Cattedrale – rileva il Vescovo – ha una singolare importanza: è segno eloquente di unità per la Chiesa particolare. Vi celebra il Vescovo nel suo triplice munus di insegnamento, di santificazione, di governo pastorale». Il Vescovo esprime un richiamo forte all’unità: «Dall’unica Cattedrale all’unità fra noi: non una semplice assenza di conflitti, di tensioni, di opposizioni, ma una unità coinvolta, cordiale, nel comune impegno di evangelizzazione e di santificazione». Dunque, «non un’unità passiva, obtorto collo, ma attiva e, se fosse possibile, entusiasta». Un’aspettativa troppo alta? No. L’unità è «sempre da costruire»: la comunione è da calare in forme di comunità, fratelli tutti, fratelli e sorelle». Poi, elenca alcune tentazioni che minano più decisamente l’unità della Chiesa di San Marino-Montefeltro. Prima di tutto, «la situazione storico-geografica, che non facilita le comunicazioni». Poi, «la tendenza all’autoreferenzialità». «Essere insieme – osserva – comporta anche una pratica di ascesi, di vigilanza su se stessi, sui propri pensieri e – Dio non voglia – sulle critiche». Infine, un’altra tentazione sperimentabile è una sorta di «debolezza teologica: una teologia capricciosa che dimentica che cos’è la Chiesa particolare, qual è il ruolo del Vescovo». «Non siamo una confederazione di parrocchie – precisa il Vescovo–, siamo un’unica Chiesa. Da qui l’importanza del Programma pastorale». E conclude: «Amiamo la nostra Cattedrale, amiamo la nostra Chiesa. Al di là delle povertà e delle fragilità, Gesù la vede sua Sposa» (Omelia nella Festa della Dedicazione della Cattedrale, Pennabilli, Cattedrale, 17.6.2021).

Paola Galvani, luglio-agosto 2021