Il cammino condiviso riaccende la speranza

Con l’ascolto partono i Gruppi Sinodali in Diocesi

Prima di tutto, l’ascolto! È la parola che vorrei affidare ai lettori in questo primo numero dell’anno. Parola apparentemente semplice e ovvia, ma Dio sa quanto è accidentato il percorso che le parole devono fare per passare dall’orecchio al cuore. Celebre la domanda che il re Salomone rivolge a Dio allorché gli appare in sogno (cfr. 1Re 3,5-15). Salomone non desidera né la ricchezza, né la forza, né vita lunga, né vittoria sui nemici, ma «un cuore che ascolta». Al pio israelita viene insegnato un precetto che deve osservare e ricordare sempre, tenendolo fisso davanti agli occhi, scrivendolo sullo stipite della sua casa, da leggere prima di entrare e prima di uscire: «Shemà Israel», ascolta Israele.
Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti approfondisce e invita a praticare l’ascolto disinteressato che «mette la persona avanti a tutto e va oltre le proprie preoccupazioni e le proprie urgenze per prestare attenzione». Del resto, a che servono i monologhi che chiudono la bocca a chi ascolta?
Nei mesi scorsi è stata allestita una mostra dedicata a “I volti di san Giuseppe nella Diocesi di San Marino-Montefeltro”. Suggestiva un’opera di Anonimo marchigiano nella quale è in primo piano – al centro del dipinto – l’orecchio di san Giuseppe, uomo dell’ascolto. Nella nostra Diocesi già spuntano qua e là i Gruppi Sinodali; in questa fase del percorso dovranno configurarsi anzitutto come gruppi nei quali si pratica l’ascolto reciproco (fase narrativa del processo sinodale, ndr). Questa riflessione che offro mi sembra pertinente. Già l’anno scorso il Programma pastorale della Diocesi dava queste indicazioni: «La pratica dell’ascolto è un’attitudine a cui tutti dobbiamo educarci. L’ascolto presuppone apertura, responsabilità, intelligenza e cuore. Richiede di fare spazio all’altro, mettersi nei suoi panni, assumerne i problemi. Siamo disposti ad inventare modi per far crescere nelle nostre famiglie e nei nostri gruppi questa tensione positiva?».
La riflessione si allarga su tutto l’arco delle relazioni. Secondo il Rapporto sullo stato delle povertà in Valmarecchia (indagine presentata a Novafeltria il 10 dicembre scorso) prima della richiesta alimentare viene la domanda di ascolto. La crisi sanitaria e l’isolamento di alcune categorie di persone già hanno suggerito iniziative di ascolto, di rapporti di fiducia e, per dirla col Programma pastorale, di nuove strade di relazione. L’ascolto presuppone il saper guardare l’altro negli occhi: “spiritualità dello sguardo”, senza giudizi né pregiudizi! Chi ascolta veramente mette l’altro nelle condizioni di fare chiarezza perché intravveda da sé vie d’uscita. In tal senso si può parlare di “ascolto attivo”.
Nei Salmi troviamo questa espressione: «Quando il povero grida il Signore lo ascolta». Nel Vangelo, quando il povero grida, Gesù lo guarda. L’ascolto si fa sguardo e lo sguardo apre orecchi, occhi, cuore. Ascoltare fa bene, prima di tutto, a chi ascolta, anche quando non ha soluzioni immediate. Attraverso l’ascolto partecipa alla fatica dell’altro fino a sentire dentro di sé il suo problema. Impossibile l’ascolto ad un cuore non preparato a ricevere le parole dell’altro. Praticare l’ascolto è come praticare l’ospitalità. Chi ascolta non è un superuomo. Anche le sue orecchie a volte sono stanche e intasate. Allora è utile prendersi il tempo necessario e mettersi in quell’altra forma di ascolto – ma non è così diversa – che è la preghiera.
Tendere l’orecchio, pazientare, non è facile. Le reazioni del cuore di fronte alle parole dell’altro o di fronte alla sua storia, chiedono esercizi di equilibrio. Diversamente l’impazienza prende il sopravvento e lo sforzo per rimanere in equilibrio fa scivolare l’ascolto in consigli affrettati. Si pretende che l’altro arrivi subito dove lo si vuol condurre: ma questo è come acciuffare l’erba e tirarla con le mani perché cresca più in fretta!
«Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,39). Il «come te stesso» è molto importante: si tratta d’aver presente i propri limiti e le proprie fragilità, ma senza correre il rischio di dare consigli da un’angolatura troppo personale. La pedagogia dell’ascolto suggerisce una serie di virtù indispensabili. La prima è il silenzio. Può ascoltare solo il cuore che non cerca né di possedere né di vincere; bisogna che il cuore non prepari risposte mentre l’altro sta ancora parlando. Altra virtù è l’umiltà che aiuta l’altro a prendersi il primo posto e tutto il tempo necessario per il dialogo.
Il Vangelo è una scuola di ascolto integrale e una fonte di ispirazione. Penso – ad esempio – all’incontro di Gesù con il paralitico alla piscina di Betesda. Gesù ascolta, ma non si ferma alle lamentele del paralitico. Gli dice: «Prendi il tuo lettuccio e va’…», come a dire: «Ti do fiducia, so che sei capace…». Stesso stile con i viandanti di Emmaus. Gesù mette in atto una squisita pedagogia. Afflitti e in fuga da Gerusalemme, i due viandanti sono così ripiegati su se stessi che neppure si accorgono di chi si è messo al loro fianco. Gesù non dice nulla, ascolta la loro geremiade, poi, solo dopo, comincia a parlare: «Non restate fissi sulla fine, sulla morte… guardatevi attorno, considerate quel che dicono le Scritture». I due, poco a poco, sono conquistati dalle parole di Gesù e finiscono per riconoscerlo. La pedagogia di Gesù fa crescere il desiderio, senza dare la risposta al posto dell’altro. Se Gesù avesse voluto dare la risposta più in fretta si sarebbe subito presentato: «Eccomi, davanti a voi. Sono io quello che voi piangete». Ha preferito dare elementi perché loro arrivassero alla scoperta. Le risposte immediate smorzano il desiderio, il cammino condiviso riaccende la speranza. «Non ci ardeva forse il cuore mentre lui ci parlava lungo la via?» (Lc 24, 32).

+ Andrea Turazzi, gennaio 2022