Eucaristia, fondamento di una nuova socialità

C’è qualcosa di frizzante nell’aria. Te ne accorgi nelle conversazioni, negli scambi dei messaggi, nelle assemblee: in Diocesi si vive una sorta di eccitazione spirituale. C’è grande attesa per l’arrivo di mons. Domenico Beneventi, nuovo Vescovo di San Marino-Montefeltro, il 67° secondo la cronotassi scolpita sul marmo all’ingresso dell’episcopio. In conseguenza di tutto questo i programmi si modificano, si aggiornano: la pastorale ne guadagna, l’evento è di quelli che portano novità, fervore, rilancio e… gioia. Intanto prosegue il cammino eucaristico aperto nel settembre scorso, caratterizzato dalle quattro Giornate Eucaristiche diocesane e dalla peregrinatio dell’icona della Cena di Emmaus tra le comunità della Diocesi.
Giova sicuramente ricordare da dove è scaturito questo progetto. La Chiesa vive sempre dell’Eucaristia. Perché allora un “anno eucaristico”? Si tratta anzitutto di una proposta pedagogica: sperimentare come davvero «l’Eucaristia fa la Chiesa». Agli opinionisti, ai politici e soprattutto a chi ha un interesse ed un approccio esclusivamente sociologico verso la Chiesa l’attenzione per l’Eucaristia parrà una questione del tutto interna, poco rilevante nella società e ininfluente sulle enormi questioni del momento. «Quale messaggio arriva al mondo da una Chiesa che mette davanti a se stessa un pezzo di pane?». Domanda che è stata posta più volte con schiettezza.
Possiamo chiederci: è sufficiente uscir da Messa contenti solo perché si è soddisfatto un precetto? Tornare a casa con bei propositi per la settimana che comincia è certamente cosa buona, ma è irrinunciabile, per chi partecipa, sentire la responsabilità e le istanze del gesto celebrato: profezia e forza di liberazione della Pasqua. L’esperienza d’essere fusi in una comunione profonda attorno a quella mensa costituisce, già di per sé, uno squarcio sul mondo che verrà. Non una utopia – direbbe il teologo – ma una epifania; utopia è ciò che “non esiste in nessun luogo”, epifania è ciò che è già presente, ma che deve essere fatto “brillare”. La strada che dal sagrato si ramifica tra le case segna la direzione della testimonianza. Testimonianza trasparente: la luce deve essere posta sul candelabro perché illumini, non sotto il moggio. Le catacombe non furono mai una strategia dei cristiani, semmai vi furono costretti. È un suggerimento essenziale per questi mesi di preparazione alla Settimana sociale dei cattolici in Italia che si terrà a Trieste nel luglio prossimo. Tema della Settimana, che ci coinvolge (avremo tre rappresentanti della Diocesi in questa importante assise), è appunto quello della democrazia, una questione che dà la sveglia all’impegno dei cattolici in politica. Considerarsi lievito nella pasta o sale che si scioglie nell’acqua non deve alimentare strategie di fuga.
Con la metafora del lievito e del sale il Vangelo mobilita ad una testimonianza contestuale “esserci ed esserci dentro” e incoraggia l’opera di irradiazione. Penso al contributo fondamentale dei cattolici nella ricostruzione del Paese; duole quella che appare una loro latitanza negli ultimi decenni. L’Eucaristia nutre una testimonianza proporzionata, mai avulsa dalla realtà, alla portata di tutti, secondo i livelli di responsabilità, secondo i talenti ricevuti, secondo gli spazi in cui si abita; e non in modo generico: ognuno ha un posto ed un grappolo di vita di cui è responsabile ed a cui può trasmettere idee, proposte, entusiasmo e speranza. Questo esige investimenti sulla formazione per essere sempre meglio capaci di lettura del momento presente, capaci di discernimento o – come ama dire qualcuno – capaci di giudizio sulla realtà.
Davvero l’Eucaristia può essere fondamento di una nuova socialità. Ciò potrà diventare evidenza con la preparazione e la partecipazione alla Terza Giornata Eucaristica diocesana, a cui verrà unita anche la Quarta per legame tematico e per le scadenze pastorali. La Giornata Eucaristica del 7 aprile gira su due perni: “spezzare il pane” e “dare pane”. «Gesù spezzò il pane e lo diede…». Organizza e coordina la Giornata Eucaristica diocesana l’area di collaborazione costituita dagli Uffici della pastorale sociale, della pastorale della salute, della Caritas, della pastorale missionaria, della pastorale famigliare e della pastorale giovanile. Mi auguro una grande partecipazione. Solitamente le iniziative tendono col tempo a calare di intensità. Ma finora, per fortuna, non è stato così: all’ultima Giornata è quasi raddoppiato il numero dei partecipanti e, quel che più importa, è stata assai significativa la qualità espressa in quasi quaranta report sinodali. Questa volta il tema abbraccia due aspetti: la missione secondo lo stile della prossimità e la corresponsabilità sinodale.
Non siamo padroni dell’Eucaristia. Bisogna percepirla come un dono e un dono che rimanda a chi ancora non c’è (missionarietà nello stile della prossimità), e come un appello per tutti alla corresponsabilità del camminare insieme (corresponsabilità sinodale). Dopo l’ascolto, fase narrativa, viene il discernimento, fase sapienziale. Più facile la prima fase, più impegnativa la seconda. Non bastano le dichiarazioni di intenti, occorrono le proposte operative. Il difficile consiste non tanto nel formulare suggerimenti (già stanno arrivando), ma nel superare le paure davanti al nuovo, nell’essere unicamente fedeli all’essenza del Vangelo, nel porsi in modo giusto davanti al mondo: sì! È anche una questione di postura.

+ Andrea Turazzi, marzo 2024