Il Crocifisso di Macerata Feltria

Eucaristia: il Corpo di Cristo offerto per noi

didascalia: Croce dipinta, Olivuccio di Ciccarello, Macerata Feltria, fine XIV sec.

La croce è al centro dell’attenzione del credente nel tempo quaresimale. La croce è, ed è stata, il cuore pulsante della fede cristiana da secoli e secoli: guardata dal VI secolo in poi come il trono del Cristo trionfante, è stata poi celebrata, verso i secoli XV e XVI, fino ai giorni nostri, come l’evidenza del Cristo sofferente. Una croce dipinta, presente a Macerata Feltria, segna il passaggio fra questi due sguardi. È una croce imponente, attribuita di recente a Olivuccio di Ciccarello da Camerino, pittore attivo in Ancona dal 1388 e morto nel 1439 e capostipite della pittura riminese del Quattrocento. All’occhio attento e simbolico dell’uomo medievale si svela, proprio attraverso il linguaggio dei segni, l’identità divina dell’Uomo crocifisso: egli è il Cristo, il Figlio del Dio vivo.
Sul fondo oro, rimando alla risurrezione e alla regalità del Cristo, si staglia, infatti, l’ombra nera del patibolo. Nella carpenteria dell’opera ritorna insistentemente, nella cimasa e nei tabelloni laterali, il gioco formale del cerchio e del quadrato, qui trasformato in rombo. È il gioco numerico del 4, simbolo dell’uomo e della violenza: quattro sono i cerchi in cui è inserito ogni rombo; quattro cerchi incorniciano anche l’incrocio delle due braccia della croce e, infine, due cerchi sono presenti alla base della croce. Il numero delle forme circolari ammonta così a 18, numero del nome di Gesù, perché somma delle lettere (associate a un numero) del nome di Cristo. San Tommaso d’Aquino, poi, afferma che sono necessari 18 miracoli per celebrare il Mistero Eucaristico. Viene così simbolicamente affermato che quest’uomo appeso alla croce, porta un nome (quello nascosto nel n°18) «Gesù», che, come dice san Paolo, è al di sopra di ogni altro nome, un nome che ci salva dalla morte introducendoci, mediante il suo Corpo offerto per noi nel Sacramento, nella gloria del Padre.
Su questo gioco di forme e di oro si manifesta il corpo bellissimo del Salvatore, il cui volto, pur nel pallore mortale, rivela una pace maestosa. Incorniciato dall’aureola il volto mostra tracce di barba appena accennate, così da evocare il Cristo imberbe, presente a Sestino, in una croce dipinta di scuola giottesca. Anche qui, nella scuola riminese, spesso debitrice di molta ispirazione alla scuola giottesca, troviamo un velato rimando a quella giovinezza che Cristo è venuto a portare proprio riaprendo all’uomo le porte del paradiso che si erano chiuse per la sterile vecchiezza dell’uomo peccatore.
Ai lati del braccio orizzontale della croce si scorgono Maria e Giovanni. Maria veste i panni dell’Addolorata come la Madonna di Giovanni da Rimini del Crocifisso di Talamello, e tende le mani quasi a raccogliere il Sangue prezioso del Figlio suo, sparso per l’umanità. Giovanni, invece, dall’altro lato, con le mani giunte sul petto sembra implorare il perdono per quell’omicidio così ingiustificato. Alle immancabili figure della Madonna e di san Giovanni collocate entro i tabelloni laterali, si aggiunge quella insolita di san Francesco che abbraccia i piedi di Gesù quasi nell’atto di baciarli. Una soluzione iconografica solitamente destinata alla Maddalena. Questo particolare denuncia la collocazione originaria di questo crocifisso, (oggi nella chiesa di San Michele), e cioè la chiesa di San Francesco di Macerata Feltria. All’interno dell’omonimo convento, e precisamente nel refettorio, era presente un dossale attribuito a Giovanni Baronzio che, proprio nella tavoletta centrale cuspidata, presentava una crocifissione con la Maddalena nella medesima posizione di Francesco. I frati erano così educati a rileggere nel loro fondatore i medesimi gesti, la medesima fede, il medesimo amore per Cristo dei primi discepoli del Redentore. La parte più suggestiva di questo crocifisso è sicuramente la cimasa che, solitamente occupata dall’immagine del Cristo Pantocratore, presenta invece la raffigurazione del Risorto.
Non può sfuggire, nemmeno all’occhio più inesperto, la parentela con il celebre Risorto di Piero della Francesca. Cristo esce dal sepolcro come un cacciatore si erge sulla preda. Imbraccia lo stendardo crucisegnato come un’arma e poggia il piede sopra il sarcofago come appunto lo appoggerebbe il vittorioso sopra la preda. Un vento impetuoso, già segno dello Spirito Santo, scuote il lenzuolo del Redentore e i suoi capelli, alitando ormai sopra la comunità dei redenti. Nell’angolo sinistro della cimasa, dolente ma sereno, appoggiato al sepolcro si vede il capo di un soldato che, come l’antico Adamo, è sopraffatto dal sonno. Egli, come noi, è ignaro di come quell’evento cambia la vita. Il frate di ieri o il fedele di oggi comprende, di fronte a questo crocifisso, come l’agire di Dio renda vani i progetti dei violenti e renda invece ragione alla verità e alla salvezza anche laddove l’uomo sperimenta la sua impotenza.

suor Gloria Maria Riva, febbraio 2024