La carità fattiva di Tabità

Ritratto di una cristiana esemplare

Immagine: Edwin Longsden Long Riunione a casa di Dorcas nel XVI secolo 1873-1877, Olio su tela 176.5 x 257.8 x 10 cm, Stephen G. Holland Messrs Vokins, London/England

Torniamo nel contesto di quelli che potremmo definire gli “Atti di Pietro”. Siamo al capitolo 9 dove ci è offerto il ritratto di un’altra cristiana esemplare che ci aiuta a penetrare nella vita quotidiana delle prime comunità.

A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità nome che significa «Gazzella
A Giaffa, città antichissima il cui nome significa Bellezza, viveva una donna cristiana il cui nome era Tabità, o in greco Dorcas. Luca ne specifica il significato: Gazzella, un nome che certamente ben si adattava alla personalità della donna. La gazzella è un animale dai grandi occhi luminosi, simbolo della bellezza e dell’eleganza femminile, agile e capace di superare con facilità dirupi e alture. Tabità, dunque, doveva risplendere di una bellezza spirituale non comune, essere agile nello spirito e animata da prontezza nel servire e da generosità. Non sappiamo altro di Tabità. Molte opere d’arte la rappresentano come un’anziana signora, ma il testo tace l’età. Una di queste però, un olio di Edwin Longsden Long, la ritrae giovanissima e circondata da collaboratrici. Quest’opera commenta egregiamente la prima parte del racconto di Atti 9. Tabità, come la raffigura Edwin Long, doveva essere ricca se possedeva una stanza al piano superiore. Quando si ammala e muore, sono altre vedove ad occuparsi di lei, la lavano e la depongono, appunto, al secondo piano della casa. Non aveva dunque parenti prossimi. Era vedova e senza figli. L’opera di Long annuncia il dramma che avviene in questo piano superiore. Alle pareti ci sono dei graffiti che raffigurano il buon pastore e un pavone. Il pavone annuncia la morte, ma anche la risurrezione di Dorcas, mentre il buon Pastore è segno della cura che la Chiesa, nella figura di Pietro, ebbe per lei. Pietro, come Gesù, opera il miracolo in grande solitudine, non permetterà che alcuno assista alla sua preghiera. Tabità non appena apre gli occhi, pur senza conoscere Pietro, mostra subito di capire chi le sta davanti e si pone a sedere, assumendo così la postura del discepolo. Pietro allora la consegnò viva, dice il testo, ai santi (in italiano leggiamo “ai credenti”) e alle vedove.
La condizione delle vedove era particolare, nei primi secoli della Chiesa, e la conosciamo bene dalle lettere di Paolo (cfr 1 Cor 7-9; 1Tm 5,3-14; 1Tm 5,16). Per evitare abusi ed equivoci (alcune vedove erano oziose e di facili costumi, specie se giovani) la Chiesa volle che le più giovani si risposassero e le più facoltose si occupassero delle vedove meno in difficoltà. A quelle più indigenti sarebbero stati gli apostoli stessi ad incaricarsene. Ora la lettura profonda di Edwin Long, mostra, nella sua tela, che Dorcas pur essendo giovane e vedova e senza figli, non si risposò ma consacrò la sua vita alla custodia di altre vedove, costituendo così una delle prime comunità religiose della storia della Chiesa. I mantelli e le tuniche che queste, dopo la morte di Dorcas, mostrarono a Pietro dovevano essere di squisita manifattura, tanto da testimoniare in modo eloquente la carità e l’amore di questa discepola.
Tanto fecondo è stato il suo esempio nei secoli che nacque in Inghilterra la Dorcas Society alla quale, Edwin Long, dedica la tela. Questa società di sole donne confezionava abiti per i poveri, nell’opera, infatti, si vede Tabità e le sue amiche che confezionano abiti per gli indigeni. Quando iniziò l’era dell’industrializzazione, le fondatrici della Dorcas Society seppero coglierne l’opportunità. Si associarono al signor Singer e fabbricarono macchine da cucire facili nell’uso. In tal modo esse vollero favorire quelle donne che per condizioni umili non riuscivano ad acquisire una buona tecnica nel cucito. Nacque così la The Singer Dorcas Society, ispiratasi all’esempio di santa Tabità. Non a caso dunque la santa, che si festeggia il 25 ottobre, è divenuta patrona delle sarte. La storia della Chiesa, proprio nelle sfide che ha dovuto affrontare è divenuta, attraverso i suoi santi, motivo di ispirazione per infinite opere di carità. Tabità ci insegna anzitutto una fede che opera per mezzo della carità e, soprattutto l’accettazione della realtà. Imparare ad essere ciò che si ha da essere, consacrando a Dio tutto, anche gli aspetti meno positivi della vita è fonte di gioia per sé e per altri. Solo così si potrà veder risorgere i propri limiti e scoprirli come invece propulsivi dentro la società e la storia.

suor Gloria Maria Riva, giugno 2023