«Non un convegno, ma comunione da vivere!»

Un Cenacolo vivente

«Siamo giunti al termine di un altro anno pastorale, caratterizzato da un forte invito ad essere “costruttori di comunità nei cantieri della vita”, una responsabilità che continua a riguardarci tutti: presbiteri e diaconi, consacrati e laici, giovani e adulti». Con queste parole il Vescovo Andrea aveva invitato tutti i fedeli della Diocesi alla «grande assemblea diocesana», sabato 27 maggio, chiamata anche “pomeriggio del Magnificat”, perché ci si è radunati per raccontare quello che il Signore è andato operando «nei nostri cuori, ma soprattutto nelle comunità, nei gruppi, nelle associazioni, nella Diocesi». «Guai a chi manca!», aveva raccomandato ad ogni incontro nei mesi precedenti. Mons. Andrea aveva spiegato che tutti i momenti dell’incontro sarebbero stati importanti: il lavoro nei gruppi, la cena “frugale”, la Messa, i saluti tra i partecipanti… «Chi entra nell’Assemblea dovrebbe capire che si trova in una dimensione speciale di Chiesa»; allo stesso modo, «fin da quando si parte da casa ci si trova già in questa dimensione, perché si parte per vivere la comunione». Dunque, il “pomeriggio del Magnificat” «non è un convegno, ma comunione da vivere!». Durante l’Assemblea era previsto un momento di “restituzione” del lavoro sinodale effettuato nelle parrocchie, a cui si è aggiunto un tempo per la conversazione spirituale a piccoli gruppi chiedendosi che cosa si è imparato sul “camminare insieme” in questi due anni di ascolto.Qualcuno si sente a disagio quando c’è da parlare. Mons. Vescovo incoraggia tutti dicendo che nessuno deve sentirsi obbligato, ma che è molto opportuno che «i laici prendano la parola per raccontare, non da maestri ma da testimoni, come le loro storie, e la Storia, aprano pagine di Vangelo».Riferendosi al Cammino Sinodale, mons. Andrea continua a ribadire che «non si tratta di scrivere documenti, ma di vivere la Chiesa stando in ascolto dello Spirito e perseverando nel dialogo fra noi». Un altro momento significativo del pomeriggio assembleare è stata la cosiddetta “operazione cinque pani e due pesci”: ogni partecipante ha portato da casa qualcosa da mangiare: il tutto è stato “spezzato” e condiviso, «una sorta di “moltiplicazione”, anche questo un segno di comunione fraterna». Dopo la cena, il momento solenne del memoriale della Pentecoste. «Memoriale – spiega il Vescovo – inteso in senso biblico-liturgico: la Pentecoste accade proprio qui, stasera, in questa chiesa» (Incontro con l’équipe sinodale diocesana, 17.5.2023).
Perché l’Assemblea diocesana è così importante? Nell’Assemblea si vive «un’esperienza di Cenacolo, perché c’è il vescovo (l’apostolo), ci sono i presbiteri e i diaconi, i consacrati e le consacrate, i battezzati che si riuniscono e raccontano, proprio come i primi discepoli, i loro incontri con Gesù». Nel Cenacolo Gesù «ha fatto fare palestra di unità ai Dodici», ha lavato i piedi a Pietro e agli apostoli, ha dato il “comandamento nuovo”: «Amatevi, come io vi ho amati». Poi, durante la cena, ha preso il pane e il vino, ha pronunciato le benedizioni prescritte e li ha trasformati nel suo corpo, sangue, anima e divinità: l’Eucaristia. Nel Cenacolo Gesù ha fatto anche la grande promessa: «Riceverete lo Spirito Santo». Mons. Andrea presenta il Cenacolo con la metafora del cuore, «a cui il sangue viene attratto e da cui viene inviato in tutto l’organismo, arricchito di tutto quello che gli serve per essere vita». Dell’Assemblea diocesana dice: «Noi siamo un Cenacolo vivente». Nel Cenacolo Gesù appare dopo la risurrezione, «quando è sera». La mancanza di sole indica «la loro fede piena di dubbi, incertezze, perplessità… piena di sensi di colpa, perché erano fuggiti tutti, eccezion fatta per la mamma, Maria, e Giovanni, l’amico del cuore». Dunque, «si trattava di una comunità sgangherata e impaurita. Una comunità dove ognuno viaggia per conto suo: i due di Emmaus se ne vanno al villaggio, Maria di Magdala va al giardino…». Il Vescovo fa notare la somiglianza con le nostre comunità parrocchiali «con i litigi fra catechiste, il coro che arriva in ritardo, il giovane che legge il giornale in fondo alla chiesa, le discussioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale (come una riunione di condominio!), i cristiani “perfetti” che non hanno pazienza con i “poveri peccatori” e criticano aspramente…». Tuttavia, evidenzia che le nostre parrocchie «sono comunità messianiche, costituite da discepoli del Messia, destinate a rovesciare il mondo… come è accaduto agli apostoli: san Pietro è arrivato fino a Roma, san Paolo è arrivato persino in Spagna». Comunità in cammino, in cui «Gesù ci educa, ci forgia poco a poco, col dono del suo Spirito» (Omelia nella II domenica di Pasqua, Arbe-Croazia, 16.4.2023).
Ad ogni assemblea, ad ogni raduno familiare, in ogni comunità manca sempre qualcuno… «C’è sempre il senso della mancanza e quindi della ricerca del dodicesimo fratello. Siamo nel tempo dell’imperfezione». Di assenza e attesa, mons. Andrea parla commentando il racconto dell’Ascensione nel Vangelo di Matteo: «Gli Undici andarono in Galilea». «“Undici” vuol dire “non dodici”» – puntualizza il Vescovo – e sappiamo tutti che gli apostoli erano dodici». «Chi sente la parola “undici” – prosegue – non può non fare memoria del dramma del tradimento di colui che mancava, Giuda». Il Vescovo presenta l’Ascensione come «il mistero dell’assenza di Dio». In effetti, «per molti la prima esperienza di Dio è che non si vede, che sembra assente. Per questo si fa fatica a credere». «Tuttavia – osserva – questa assenza è segnata dalla tensione, proprio come accade quando diamo appuntamento ad una persona cara: pensiamo a lei, ci prepariamo all’incontro al suo ritorno, addirittura quell’assenza ci tiene svegli». Dunque, «l’assenza è un modo diverso di vivere la presenza, un modo diverso di essere in relazione». E conclude: «Durante l’attesa succede tutto, così è stato nel Vangelo».

Paola Galvani, giugno 2023