L’autorità come servizio

Esemplarità di una tradizione

Chi non ha assistito al cambio dei Capitani Reggenti in Repubblica di San Marino? Accade ogni 1° ottobre e ogni 1° aprile. Vale la pena partecipare. È un invito che rivolgo ad ogni lettore. Per me è stata una liturgia ripetuta almeno venti volte. Lo scorso 1° aprile, l’ultima. Ho allargato ancora una volta il cuore ad abbracciare la storia di questa piccola nazione, grande per la sua storia e la sua tradizione. Questa pagina vuole essere come un biglietto di saluto dopo anni di servizio in questa terra da cui mi sto per congedare, non senza commozione.
Ogni volta che partecipo all’avvicendamento dei Capitani Reggenti e alla relativa liturgia resto stupito ed entusiasta. E non tanto per il folclore. Ho avuto modo di ripeterlo in altre circostanze: la piccola Repubblica di San Marino compone e ricompone un bozzetto di umanità futura, riconciliata e unita per la presenza di tanti signori ambasciatori (talvolta un centinaio). Si resta poi ammirati nel constatare come l’autorità non sia appannaggio o arbitrio di qualcuno, ma sia una realtà per la quale due persone accettano di mettersi a disposizione e, una volta compiuto il servizio, passano la mano.
Pur fedeli alle proprie sensibilità, cultura e formazione, i Capitani Reggenti diventano rappresentanti di tutti i cittadini. Ogni sammarinese può dire: «Ecco chi mi rappresenta!». Essi sono costituiti arbitri al di sopra delle parti, ma io preferirei dire con tutte le parti, perché ascoltano, vedono e accolgono il meglio di ogni componente della comunità. Senza preclusioni. Senza pregiudizi. A servizio, semplicemente.
La tradizione ha pensato che il peso della responsabilità fosse condiviso da due persone. Insieme. Per aiutarsi? Per ridimensionare il potere individuale? Per una migliore pratica del discernimento? Per una condivisa rappresentanza? Del resto non mandava a due a due i suoi discepoli anche Gesù, il Maestro? (cfr. Mc 6,7).
So, per la confidenza di qualcuno, che non si esce da questo mandato, senza esserne profondamente cambiati. Tornano ogni volta nella liturgia pagine bibliche, con parole che colgono l’essenziale. Le più antiche sono state scritte su pietra, ma ognuno le porta in sé: non c’è persona, a qualsiasi popolo o cultura appartenga, che non vi legga la propria verità. Tali parole indicano all’uomo che cosa deve fare e che cosa non deve fare, ma, in realtà, vanno ben oltre: dicono all’uomo chi egli è; riguardano più l’essere che il fare. Diogene, secondo l’antico racconto, si aggirava per la piazza in pieno giorno e, con la lanterna in mano, “cercava l’uomo”. La piazza è il meraviglioso alveare che l’uomo ha creato con i suoi commerci e la trama delle sue relazioni. Ma in esso paradossalmente può smarrirsi. La lanterna è una provocazione per chi presume di vederci chiaro, mentre si inganna inebriandosi troppo presto di ciò che luccica, di ciò che appaga immediatamente e di ciò che sembra più facile. Vale per i Capitani Reggenti, vale per chi ha la responsabilità, vale per i partecipanti, vale per tutti: abbiamo bisogno di entrare in noi stessi e di scoprire l’altissima dignità a cui siamo chiamati. Nessuno – vorrei dire – si condanni alla mediocrità: la Parola di chi ci ha creati ci viene in aiuto.
A San Marino come in Italia saremo chiamati a breve ad esprimere con il voto la partecipazione alla vita democratica del nostro paese. Ci si prepara ai programmi e a raccomandare i valori a cui ispirarsi. Per i cattolici, soprattutto, sarà base fondamentale la Dottrina Sociale della Chiesa: emergenza educativa, sacralità della vita, accoglienza e solidarietà, lavoro e sicurezza etc. Teniamo alto l’orizzonte: siamo fatti per l’infinito, per la relazione, per desideri smisurati.
Fatti per l’infinito. La Bibbia non disdegna di usare il linguaggio colorito del mondo orientale: «Io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso» (Es 20, 5). Dio non tollera che la sua creatura più preziosa gli sia alienata e passi sotto padroni che lo derubino della sua libertà e della sua anima.
Fatti per la relazione. Dio si offre agli uomini attraverso padri e madri; egli è colui che viene raccontato dal padre al figlio. Ma Dio non è soltanto raccontato; anche nella condizione umana più deturpata, là dove il padre non racconta Dio, cede ai genitori il suo attributo di creatore e solo attraverso loro suscita una nuova creatura e l’associa alla propria volontà di amore. La vita e Dio scendono così insieme trasportati da un’ininterrotta successione di padri e di madri per tutta la durata della storia.
Fatti per desideri smisurati. Dio è il Signore della vita. Per un disegno di amore la effonde e l’affida all’uomo perché ne diventi responsabile. Questo è motivo di gioia e di gratitudine. Talvolta, però, se ne sente il peso e la fatica. «L’ingresso costa troppo caro per la nostra tasca. E perciò mi affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso». Così parla Ivan al fratello Alëša ne “I fratelli Karamazov” di F.M. Dostoevskij. La fondamentale e prima chiamata consiste nella fedeltà alla vita, nel pronunciare ogni giorno il “sì” coraggioso e responsabile: «Vivere è rispondere».
Il comando “non desiderare”, che talvolta ritorna nella Sacra Scrittura, non è ostile alla vita, ma combatte l’egoismo, non si limita al diniego, ma propone un’educazione del desiderio. Anche Dio ha desideri smisurati: ci desidera. Ci desidera tutti.
Gesù è venuto per raccontarci il desiderio di Dio. Per questo, «nessuna delle sue parole venga cancellata e non cada neppure uno iota o un trattino da esse» (cfr. Mt 5,18). Il mio augurio è che queste parole vengano raccolte e rilanciate.

+ Andrea Turazzi, aprile 2024