L’Ostia profanata e il miracolo della mula

Due miracoli eucaristici che educano al Mistero

Stiamo contemplando ancora il ciclo di affreschi presente nel Santuario della Beata Vergine Maria delle Grazie. L’anonimo artista, dopo aver narrato due momenti fondamentali del Primo e del Nuovo Testamento sul tema Eucaristico (l’incontro di Abramo con Melchìsedek con l’offerta sacrificale del pane e del vino e l’ultima Cena), ecco che, in alto, nel terzo registro della parete, ci introduce nel Mistero del Sacramento come verità sulla Presenza Reale del Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. I due affreschi, infatti, sono quasi due exempla che rendono evidente nella vita del popolo quanto è narrato nella Sacra Scrittura e in particolare nel Vangelo. Le due scene presentano l’antinomia di chi, di fronte al Mistero, crede o, invece, oppone resistenza, come abbiamo visto Giuda opporsi agli altri apostoli nell’ultima Cena.

Il miracolo dell’ostia profanata
L’affresco più vicino alla Vergine Maria narra il celeberrimo episodio dell’ostia fritta. La sua notorietà nell’area del Montefeltro è dovuta anche all’affresco che Paolo Uccello gli dedicò nella predella della Pala del Corpus Domini realizzata da Giusto di Gand e ora conservata nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. Il fatto, accaduto nel 1290, è narrato dallo scrittore e cronista italiano Giovanni Villani (Firenze, 1280-1348), con alcune modifiche introdotte dagli scritti di Antonino Pierozzi, domenicano e vescovo di Firenze (1389-1459) e parla di un ebreo parigino, forse usuraio. Il racconto riflette una certa concezione negativa che si aveva degli ebrei in Italia e in Francia attorno alla metà del Quattrocento, anche a causa del sorgere di numerosi Monti di Pietà (istituzioni finanziarie senza scopo di lucro, create da alcuni ordini monastici per la gestione dei prestiti di modeste quantità di denaro), che avevano l’obiettivo di sostituirsi ai banchieri ebrei. Un ebreo di Parigi, appunto, acquista da una donna, bisognosa di denaro, un’ostia consacrata e, tornato a casa, la frigge quasi a riprova dell’inconsistenza della fede cattolica nel Sacramento. Dalla padella però inizia a scorrere sangue vivo e l’uomo è costretto a chiamare soccorsi e a confessare il fatto. Recuperato il Santissimo, i colpevoli furono drammaticamente puniti e nella città si attuò una processione con l’ostia miracolosa. Se l’episodio riflette un’esigenza del momento, quella appunto di spingere le persone bisognose a rivolgersi ai Monti di Pietà, piuttosto che a banchieri e usurai, nell’affresco pennese l’obiettivo è un altro. L’affresco non narra tutta la vicenda come nell’opera di Paolo Uccello, ma si concentra sull’episodio centrale. Nella pittura, infatti, vediamo solo gli uomini che fanno irruzione nella casa dell’uomo parigino e scoprono la verità del Sacramento. Quando Gesù nell’ultima Cena disse: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, non lo disse solo in modo simbolico o parabolico, ma ci consegnò una realtà. L’Eucaristia è Presenza Reale del Cristo, vero corpo e vero sangue. Un corpo che, se bistrattato o colpito, si comporta come un vero corpo umano gettando sangue dalle ferite.

Il miracolo della mula
Il secondo episodio riguarda l’altra città che geograficamente e storicamente abbraccia il Montefeltro: Rimini. Nella Rimini del Duecento abbondavano i membri della setta dei catari, detti anche degli albigesi per la città francese dove l’eresia sorse e si diffuse: Albi. I catari misconoscevano la continuità della Presenza Reale di Cristo nel Santissimo Sacramento dopo la celebrazione Eucaristica. Sant’Antonio giunse a Rimini nel 1222 e vi trovò un agguerrito gruppo di catari che osteggiava tanto la fede cattolica e la sua predicazione. Incontrato uno dei più accesi sostenitori dell’eresia, Antonio lo sfidò, volendolo portare alla salvezza. L’uomo, proprietario di una mula, lasciò il giumento tre giorni senza mangiare, al quarto giorno Antonio si presentò nel luogo stabilito dove l’uomo aveva predisposto un mucchio di biada della migliore qualità. Ed ecco l’epilogo narrato dall’affresco: di fianco alla biada il Santo regge l’ostensorio con il Santissimo Sacramento, circondato da due chierici che reggono le candele rituali. Il cataro sopraggiunge in quel momento con la mula affamata, la quale allunga il collo per sfuggire al controllo del padrone e cibarsi. Tuttavia, poiché il Santo le ingiunge di rendere omaggio al suo Creatore prima di mangiare, la mula, sotto gli occhi increduli del proprietario e di altri catari, s’inginocchia davanti al Santissimo Sacramento.
I due affreschi vogliono condurre il fedele a prendere consapevolezza del Mistero Eucaristico. Il primo insegna ad avere il dovuto rispetto di fronte alla grandezza del Sacramento, educa cioè a quel timor di Dio che aiuta a rapportarsi con venerazione e amore verso le cose sante. Il secondo, invece, è teso a irrobustire la nostra fede: più del giumento i nostri occhi a motivo della fede, vedendo il pane eucaristico, riconoscono e adorano in esso la Presenza del Cristo.
Il ciclo di affreschi, purtroppo incompleto, testimonia la passione educativa della Chiesa che, dalla tradizione biblica a quella popolare, insegna le verità della fede rendendo evidenti al popolo cristiano la bellezza del Mistero della Pasqua. In questi affreschi, benché antichi, permane la forza di una vera esperienza di Cristo e dei suoi Misteri, capace di educare nella fede anche l’uomo contemporaneo.

suor Gloria Maria Riva, novembre 2023